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Oltre le urne, al fisco serve una revisione strutturale

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ANALISI

Oltre le urne, al fisco serve una revisione strutturale

(Fotogramma)
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«Giù le tasse day»: l’iniziativa del Pd per sottolineare le realizzazioni di Renzi in materia di abbattimento del peso dell’imposizione fiscale ha avuto luogo. Con quale successo si vedrà, perché in materia di tasse gli italiani sono sempre diffidenti e perché come è inevitabile l’opposizione parla di «imbroglio day».

Ci sono argomenti da una parte e dall’altra per giocare sulle due facce della medaglia. Renzi mette in fila le riforme avviate: niente Tasi sulla prima casa, niente Imu sugli imbullonati, cancellazione della componente costo del lavoro dall’Irap. Brunetta a nome del centrodestra ricorda tutte le altre tasse che si pagano: 24 tasse da pagare, Tari che aumenta in molti comuni, pressione fiscale al 44,2%.

Ragionare su uno scenario di questo tipo è tutt’altro che facile. Al di là delle valutazioni tecniche dal punto di vista politico è interessante notare due cose. La prima è che la sinistra nella versione renziana riscopre il tema della necessità di abbassare la pressione fiscale. La seconda è che la risposta della destra è semplicemente che questa riduzione non è mai abbastanza, senza che si capisca come si potrebbe fare di più (visto che quando ha governato si è limitata anch’essa a limare qualcosina).

Ci sarebbe da ragionare sul fatto che in passato la tassazione era stata pensata come un mezzo per ridistribuire il reddito consentendo così migliori condizioni di vita e poi di consumi ad una platea più vasta. Quel che gli individui risparmiavano in spese per servizi (sanità, istruzione, ecc.) offerti gratuitamente dallo stato grazie alla tassazione progressiva si traduceva in spesa per un incremento del loro benessere.

Oggi è piuttosto arduo continuare a pensare che sia così e alle virtù della spesa pubblica a prescindere da tutto credono in pochi. Dunque la sinistra riformista ne prende atto, ma deve misurarsi col problema di ripensare il sistema impositivo, non semplicemente di fare interventi occasionali, giusto per provare l’effetto (elettorale?) che fa.

Dal canto suo la destra dovrebbe a sua volta sfuggire alla facile tentazione del “piove governo ladro”, che è una battuta, non una teoria economica e men che meno una strategia politica. La smobilitazione ampia del sistema fiscale significherebbe lo smantellamento di un mondo di servizi e di interventi pubblici che, limitiamoci a questo, danno comunque lavoro a molte persone. E di tutto in questo momento c’è bisogno, tranne che di creare nuova disoccupazione.

Dunque si chiede uno sforzo reale della classe politica per una revisione strutturale del nostro sistema di imposizione, che deve includere la riduzione del cuneo fiscale. E che consista non nell’alleggerire a spot un po’ qui e un po’ lì, ma nell’incidere sull’equilibrio fra raccolta delle risorse e spesa pubblica, in modo che la prima non diventi uno strumento di freno e regressione alla ripresa di un’economia in difficoltà.

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