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Le quattro politiche per il riscatto dell’Europa

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tra fmi e eurogruppo

Le quattro politiche per il riscatto dell’Europa

(Afp)
(Afp)

Qual è la situazione dell’Eurozona?È una domanda quotidiana che nei giorni scorsi due risposte molto diverse.Una è del Fmi ha reso noto il rapporto annuale (in base al noto art. IV del suo statuto) sulla Uem che è stato presentato addirittura dal Direttore Generale Christine Lagarde all’Eurogruppo del 16 giugno. Ne emerge una marcata preoccupazione con forti raccomandazioni di politica-economica collocate in un contesto politico-istituzionale ampio ma non generico. L’altra è dell’Eurogruppo per il quale si è espresso il suo presidente Jeroen Dijsselbloem che nella conferenza stampa seguita alla riunione 16 giugno ha commentato le osservazioni del Fmi in modo sostanzialmente fiducioso sulla Uem dando una valutazione rassicurante sui progressi fatti per rafforzare l’Eurozona. Tentiamo allora una spiegazione di posizioni molto diverse.

Preoccupazione e fiducia

La Lagarde è assai preoccupata perché guarda al medio-lungo periodo anche extra-euro rendendosi conto che con l’indebolimento dell’Eurozona tutta la geo-economia ne verrebbe colpita e anche la ripresa mondiale sarebbe danneggiata dalla crisi europea. È una visione globale.

Dijsselbloem evidenzia invece i risultati conseguiti (anche perché lui è il presidente dell’Eurogruppo e dello ESM)e pensa ad amministrare con gradualità il breve-medio termine con riferimento al quale cerca di alimentare la fiducia. È una visione locale.

Delle due visioni preferiamo quella globale che vuole rilanciare l’Europa mentre quella locale spera solo di conservarla.

Per il Fmi la ripresa ciclica di cui la Uem fruisce è notevole ma anche fragile. L’economia reale segnala che la crescita potenziale è frenata, che la produttività è sotto i livelli precrisi, che l’output gap si riduce lentamente, che la disoccupazione rimane alta, che la demografia è fiacca. L’economia bancaria segnala squilibri tra Paesi per sistemi e istituti creditizi con troppi crediti deteriorati. L’economia fiscal-finanziaria segnala squilibri tra Stati per i debiti pubblici e per le singole posizioni esterne di surplus e deficit.

L’economia monetaria della Bce, pur estremamente accomodante, non raggiunge gli obiettivi di dinamica dei prezzi a causa dei precedenti fattori e di fattori extraeuropei. Si conclude che l’eurozona rimane a rischio di stagnazione.

Per Dijsselbloem le valutazioni del Fmi hanno certificato la ripresa ciclica della Uem malgrado le turbolenza dell’economia globale. Queste buone notizie confermerebbero i successi conseguiti dalla e nella eurozona sia per i riequilibri e le riforme a livello nazionale sia per il rafforzamento delle euro-istituzioni. L’Unione bancaria è molto avanzata e le riforme strutturali nei singoli Paesi sono vigilate e proseguono. Dijsselbloem riconosce che il processo di riforma non è concluso ma è fiducioso che prosegua bene su singoli capitoli che vengono di volta in volta affrontati tra cui quello dei sistemi pensionistici esaminato il 16 ultimo scorso.

Queste due posizioni non sono incompatibili perché si riferiscono a orizzonti e ruoli diversi per la Uem ma lo diventano quando bisogna scegliere tra gradualismo e politiche più innovative ed incisive. E qui il Fmi non ha dubbi segnalando che la vulnerabilità della Uem sta crescendo con l’euroscetticismo. Per reagire bisogna attuare quattro politiche connesse: riforme strutturali e fiscali nazionali da incentivare, politica fiscale comunitaria da costruire, riforma bancaria da completare, politica monetaria accomodante da continuare. Sono temi noti all’Eurozona e all’Eurogruppo (anche se tutt’altro che condivisi dai singoli Stati membri) come risulta dal “documento dei 5 Presidenti” ma non è certo banale che il Fmi li enfatizzi oggi per dire che la ripresa della Uem è fragile e che c’è il rischio di stagnazione.

Quattro politiche strutturali

La natura delle quattro politiche è strutturale perché le stesse cono complementari, perché portano ad una maggiore integrazione, perché tolgono natura episodica agli interventi.

Tra le quattro politiche indicate consideriamo quelle delle riforme strutturali e del rigore fiscale nazionale unite ad una spinta fiscale centrale.

Tre sono le declinazioni complementari di questa proposta. La prima è l’affermazione per cui i Paesi con alto debito devono avere un rigoroso rispetto dei parametri di rientro e quindi non possono fare politiche espansive. Si segnala che al presente non usano adeguatamente i vantaggi derivanti dai tassi di interesse azzerati per ridurre il debito e per proseguire con forza riforme strutturali per aumentare produttività e competitività.

La seconda proposta è che i Paesi con surplus di bilancio e di parte corrente devono aumentare la domanda interna e fare più investimenti. Per entrambi i casi netta è l’affermazione che il patto di stabilità e crescita deve essere molto più rispettato, più effettuale e meno discrezionale ma nello stesso tempo deve essere semplificato e ricondotto a pochi parametri sia per i bilanci che per le riforme. A tal fine si suggerisce anche un euroautorità indipendente per il controllo.

La terza proposta è che ci vuole una politica comunitaria della spesa e una condivisione dei rischi per rendere le prime due politiche più efficaci ed attraenti. Si propone che il Fondo europeo per gli investimenti strategici sia ampliato o che siano creati nuovi fondi comunitari per investimenti pubblici nelle reti energetiche, per la gestione della immigrazione, per la conservazione e mitigazione eco-abientale. Si chiede infine un euroministero del tesoro. Non si fa invece menzione degli eurobond ma la loro necessità è implicita.

Una conclusione

Il Fmi ricorda infine altri rischi odierni della la Ue e della Uem tra cui l’interazione tra chiusure di frontiere per immigrazione e segmentazione del mercato unico, per gli strascichi che Brexit lascerà anche se il Regno Unito non uscirà, la capacità di reazione indebolita dalla crisi. Per questo bisogna accelerare l’integrazione. È quanto tanti ripetono. Eppure si continua a rinviare un’attuazione coordinata del “Rapporto dei 5 presidenti” in esame dal 2012 e così si procede con misure tampone alcune delle quali importanti ma senza un insieme risolutivo. Forse la Uem vuole rimanere “locale” mentre potrebbe essere “globale”. Peccato.

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