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Londra rimanga, nonostante la Ue

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Il nobel 2008

Londra rimanga, nonostante la Ue

David Cameron
David Cameron

È tempo di dire la mia su una questione che finora ho cercato di evitare il più possibile: il referendum del Regno Unito sull’uscita dall’Unione Europea, meglio noto come Brexit.

Per non tenervi sulle spine: se potessi votare, voterei per rimanere. Ma non con l’entusiasmo che mi piacerebbe avere; e anche se vincesse il “Remain”, come spero, sarei comunque angosciato per il futuro.

Perché? Ecco qualche osservazione sparsa sull’argomento:

Un’analisi convenzionale dei flussi commerciali induce a pensare che a meno che non riesca a strappare un accordo che le consenta sostanzialmente di mantenere un pieno accesso al mercato Ue – cosa che sembra improbabile considerando l’impatto che avrebbe una vittoria del “Leave” sulle relazioni – la Brexit renderebbe il Regno Unito stabilmente più povero. Ho fatto qualche calcolo approssimativo e mi è uscita fuori una perdita sostenuta di prodotto interno lordo del 2%: è una stima che non si discosta molto da calcoli effettuati da altri. Non è un numero inoppugnabile – potrebbe essere minore o maggiore – ma la direzione è più che evidente.

Oltre a queste perdite convenzionali, c’è il caso speciale della City londinese, che gioca un grosso ruolo nell’economia britannica grazie al suo enorme export di servizi finanziari verso il resto d’Europa. Il ruolo della City, come per altri centri finanziari, poggia su economie di agglomerazione difficili da modellizzare. Gli attriti e i costi supplementari di una Brexit danneggerebbero la City tanto da minarne il ruolo, con pesanti ripercussioni per la Gran Bretagna? Nessuno lo sa, ma se così fosse il costo economico complessivo potrebbe diventare enormemente più pesante

Non date retta a chi sostiene che la Gran Bretagna, libera dalle regole comunitarie, sarebbe in grado di realizzare una spettacolare crescita economica attraverso la deregolamentazione. Il processo non avrebbe miglior sorte di quanta ne abbia avuta la versione americana della deregulation.

In senso opposto, consiglierei di non prendere sul serio gli allarmi su una crisi finanziaria su larga scala. La sterlina potrebbe deprezzarsi, ma per un Paese che si indebita nella propria valuta e ha un deficit eccessivo nel saldo con l’estero, questa è una buona notizia.

Ed è vero anche che l’impatto economico della Brexit non ricadrebbe allo stesso modo su tutti i gruppi sociali. La City e quelle persone il cui reddito è legato alle sue fortune probabilmente ci rimetterebbero pesantemente, ma alcune aree del Paese potrebbero beneficiare di una sterlina più debole.

Al di là di queste tematiche distributive, la scienza economica dice molto chiaramente che alla Gran Bretagna conviene rimanere nell’Unione Europea. Perché, allora, sono così combattuto? Perché l’Unione sembra estremamente disfunzionale e assolutamente refrattaria a qualsiasi miglioramento.

L’euro è l’esempio più evidente: è stato un errore già in partenza, e questo errore è stato enormemente aggravato dalla gestione della crisi dopo il 2009. Dopo un improvviso stop dei flussi di capitali, il grande problema tecnico dell’aggiustamento è stato trasformato in una commedia morale che imponeva un’austerità distruttiva. E al di fuori della Banca centrale europea, nulla sembra indicare che qualcuno degli attori principali abbia tratto qualche insegnamento dal disastroso risultato.

Ma non è solo l’euro. L’Unione Europea sembra incapace di affrontare i problemi migratori, non solo per quanto riguarda la crisi dei profughi, ma anche rispetto all’interazione tra estesi sistemi di welfare, grandi disparità di reddito interne e confini aperti. Sono sicuro che le forze antieuropeiste ingigantiscono il fardello rappresentato dagli immigranti esteuropei per la Gran Bretagna, ma è un punto critico su cui l’Unione non sembra in grado di dare una risposta.

Insomma, qualcosa deve succedere. Mi piacerebbe pensare che di fronte a una vittoria di misura degli europeisti nel referendum l’Europa si darà una svegliata: ma di segnali del genere ce ne sono stati parecchi negli ultimi anni, e non sembra succedere nulla.

Tuttavia, il progetto europeo è stato all’origine di tantissime cose positive a livello mondiale, e resta importantissimo. L’Unione Europea storicamente ha giocato un ruolo chiave, non solo per l’allargamento degli scambi commerciali, ma anche per la democratizzazione. Anche quando non si è dimostrata all’altezza, per esempio di fronte all’ascesa dell’autoritarismo in Ungheria, e adesso in Polonia, l’Unione e le sue istituzioni rappresentano un freno importante. Se la Brexit dovesse danneggiare gravemente il progetto europeo, cose molto brutte potrebbero succedere.

Insomma: voterei per rimanere, ma con un certo sconforto, perché quello in cui voterei per rimanere è un sistema che ha un bisogno disperato di riforme, ma mostra scarsi segnali di volersi riformare.

Paul Krugman ha vinto il Nobel
per l’Economia nel 2008
(Traduzione di Fabio Galimberti)

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