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Francesco in Armenia torna a parlare di «genocidio»

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Francesco in Armenia torna a parlare di «genocidio»

È uno dei giorni più difficili della storia politica dell’Europa quello che vede il Papa volare nel cuore del Caucaso, dove senza timori di sorta ricorda il “genocidio” sofferto dagli armeni. Parte il viaggio di tre giorni in Armenia, e Francesco sul volo commenta brevemente l’esito del referendum britannico anti-Ue: «È stata la volontà espressa dal popolo e questo chiede a tutti noi una grande responsabilità per garantire il bene del popolo del Regno Unito e anche il bene e la convivenza di tutto il continente europeo».

Poche parole, anche per non oscurare i contenuti di un viaggio ecumenico, ma anche dalla forte valenza politica e di vicinanza ad un popolo che ha subito cento anni fa la tragedia immane del primo genocidio del novecento, un milione e mezzo di vittime per mani dei “Giovani turchi” ottomani. Francesco nel discorso ufficiale a Erevan aggiunge a braccio la parola “genocidio”, che inizialmente non era prevista nel discorso, in segno di forte vicinanza al popolo armeno anche se questo provocherà delle nuove tensioni con la Turchia (dove è reato definire tale lo sterminio del popolo armeno) come già accaduto lo scorso anno, in occasione della messa a San Pietro per i cento anni dell’inizio del massacro.

Oggi il Papa visiterà il Memoriale del Genocidio (Tzitzernakaberd, Collina o Fortezza delle rondini). «Tutti coloro che dichiarano la loro fede in Dio uniscano le loro forze per isolare chiunque si serva della religione per portare avanti progetti di guerra, di sopraffazione e di persecuzione violenta, strumentalizzando e manipolando il Santo Nome di Dio», dice di fronte alle autorità politiche e diplomatiche armene, invitando «i responsabili delle sorti delle nazioni» a mettere in atto «con coraggio e senza indugi» iniziative per «porre termine» alle sofferenze patite da chi subisce la guerra e la persecuzione.

E quindi ricorda la celebrazione dell’anno scorso in San Pietro: «In quella occasione si è fatta memoria del centenario del Metz Yeghérn, il “Grande Male”, che colpì il vostro popolo e causò la morte di una moltitudine di persone. Quella tragedia, quel genocidio, inaugurò purtroppo il triste elenco delle immani catastrofi del secolo scorso, rese possibili da aberranti motivazioni razziali, ideologiche o religiose, che ottenebrarono la mente dei carnefici fino al punto di prefiggersi l’intento di annientare interi popoli». Il Papa quindi ripete la parola «genocidio», e non in forma di citazione, contenuta nella dichiarazione congiunta da lui citata un anno fa firmata da Giovanni Paolo II e Karekin II (mentre non era stata usata da Benedetto XVI). «Rendo onore al popolo armeno che, illuminato dalla luce del Vangelo, anche nei momenti più tragici della sua storia, ha sempre trovato nella croce e nella risurrezione di Cristo la forza per risollevarsi e riprendere il cammino con dignità».

È fresca la crisi di Ankara con la Germania su questo tema, a seguito dell’approvazione della legge da parte del Bundestag su riconoscimento del genocidio, ma il breve viaggio del Papa nella “prima nazione cristiana della Storia” è un fatto acquisito anche dalle autorità turche, alle prese con una gravissima crisi interna di sicurezza, che vede il susseguirsi di sanguinosi attentati. In Armenia il Papa farà accendere i riflettori sul conflitto dimenticato con l’Azerbaigian per il controllo del Nagorno-Karabakh, che si trascina dalla fine degli anni ‘80 senza che si riesca a trovare un accordo di pace: 30mila morti e oltre un milione di profughi e sfollati. Di recente, in aprile, ha visto di nuovo inasprirsi il conflitto, con una violenza che non si registrava dal 1994, con decine di morti sia in campo armeno che azero.

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