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Tragedia britannica in atto unico

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L'Analisi|Global view

Tragedia britannica in atto unico

Dicono che il 23 giugno sia stato epocale per chi ha lottato affinché Londra voltasse le spalle alla Ue e al 21° secolo. La decisione di uscire dall’Ue dominerà la vita britannica per il prossimo decennio, se non anche oltre. Si può dibattere sulla precisa entità dello shock economico sia a breve che a lungo termine, ma è difficile immaginare un’altra situazione in cui il Regno Unito possa diventare più povero e meno significativo nel mondo. Molti di coloro che sono stati incoraggiati a votare per la loro “indipendenza”, o presunta tale, scopriranno che, lungi dall’ottenere la libertà, hanno perso il lavoro.

Allora, perché è successo?

Innanzitutto, un referendum riduce la complessità a un’assurda semplicità. Il guazzabuglio di cooperazione internazionale e sovranità condivisa che caratterizza l’adesione della Gran Bretagna all’Ue è stato subdolamente tradotto in una serie di affermazioni e promesse menzognere. Ai cittadini britannici è stato detto che l’uscita non avrebbe avuto alcun impatto economico, e che i settori della società che finora hanno beneficiato degli aiuti dell’Europa non avrebbero subito perdite. Le promesse fatte agli elettori parlano di un vantaggioso accordo commerciale con l’Europa (il maggiore mercato della Gran Bretagna), meno immigrazione e più fondi per il servizio sanitario nazionale e altri preziosi beni e servizi pubblici. Ma soprattuto, è stato detto, la Gran Bretagna avrebbe riacquisto il suo “estro”, la vitalità creativa necessaria per conquistare il mondo.

Uno degli orrori che ci attendono sarà la crescente delusione dei sostenitori dell’uscita man mano che tutte queste bugie saranno svelate. Gli elettori si aspettano di “riavere il proprio paese indietro”. Io non credo che quello che si troveranno davanti gli piacerà.

Una seconda ragione del disastro è la frammentazione dei due principali partiti politici britannici. Per anni un sentimento antieuropeo ha corroso l’autorità dei leader conservatori. Inoltre, qualunque idea di disciplina e lealtà di partito è morta anni fa, con la diminuzione del numero dei sostenitori convinti. Ma ancora peggio è quanto accaduto nel partito laburista, i cui tradizionali sostenitori sono stati determinanti per la massiccia volontà di uscire dall’Ue espressa in molte aree popolari.

Con la Brexit assistiamo ora all’avvento in Gran Bretagna di un populismo alla Donald Trump. Ovviamente, c’è ampia ostilità, sommersa in uno tsunami di bile populista, verso chiunque sia ritenuto un membro del cosiddetto establishment. I sostenitori della Brexit, come il segretario di Stato per la giustizia Michael Gove, hanno liquidato il parere degli esperti come l’espressione di un’egoistica cospirazione dei ricchi contro i poveri. Quindi, a prescindere se a parlare fosse il governatore della Bank of England, l’arcivescovo di Canterbury, o il presidente degli Stati Uniti, il punto di vista espresso non contava.

Ciò rimanda a una terza ragione dietro il voto pro Brexit: una crescente ingiustizia sociale ha contribuito a una rivolta contro quella che viene percepita come un’élite metropolitana. La vecchia Inghilterra industriale, in città come Sunderland e Manchester, ha votato contro la più abbiente Londra. La globalizzazione, è stato detto a questi elettori, avvantaggia solo chi sta più in alto – e che lavora comodamente con il resto del mondo – a scapito di tutti gli altri.

Al di là di queste ragioni, non aiuta il fatto che per anni quasi nessuno abbia mai difeso con forza l’appartenenza della Gran Bretagna all’Ue. Ciò ha creato un vuoto, consentendo alla delusione e al disinganno di far dimenticare i benefici derivanti dalla cooperazione con l’Europa, e rafforzando l’idea che i britannici fossero diventati schiavi di Bruxelles. Agli elettori pro Brexit è stato propinato un ridicolo concetto di sovranità, che li ha indotti a preferire un’indipendenza di facciata all’interesse nazionale.

Adesso, però, lamentarsi e stracciarsi le vesti non serve a nulla. In circostanze difficili, le parti interessate devono cercare di adoperarsi onorevolmente per il bene del Regno Unito. Si spera che i fautori della Brexit avessero almeno un po’ di ragione, per quanto sia difficile immaginarlo. Ad ogni modo, ora bisogna cercare di giocare al meglio le carte che ci sono capitate.

Tre sfide, però, si prospettano nell’immediato.

Innanzitutto, ora che David Cameron ha dato le dimissioni, l’ala destra del partito conservatore e alcuni dei suoi membri più inaspriti domineranno il nuovo governo. Cameron non ha avuto scelta. Non si sarebbe potuto presentare a Bruxelles a nome dei suoi colleghi traditori per negoziare qualcosa su cui non era d’accordo. Se a succedergli sarà addirittura un leader pro Brexit, la Gran Bretagna sarà governata da qualcuno che ha trascorso le ultime dieci settimane a diffondere bugie.

In secondo luogo, i legami che tengono insieme il Regno Unito – in particolare la Scozia e l’Irlanda del Nord, che hanno votato per restare in Europa – saranno messi a dura prova. Dal canto mio, spero che la rivolta della Brexit non conduca inesorabilmente a un voto per la disgregazione del Regno Unito, ma di certo è una possibilità.

Terzo, molto presto la Gran Bretagna dovrà iniziare a negoziare la propria uscita. È difficile immaginare come possa arrivare a definire un rapporto con l’Ue migliore di quello attuale. I britannici dovranno mettercela tutta per convincere i loro amici nel mondo che non hanno perso il loro senno moderato.

La campagna per il referendum ha ravvivato la politica nazionalista, che alla fine ruota sempre intorno a questioni razziali, immigrazione e complotti. Un compito che noi del fronte filoeuropeo abbiamo è quello di cercare di arginare le forze che la Brexit ha scatenato, e riaffermare quei valori che in passato ci hanno permesso di avere così tanti amici e ammiratori in tutto il mondo.

Tutto questo ha avuto inizio negli anni quaranta del secolo scorso, con Winston Churchill e la sua visione dell’Europa. Il modo in cui finirà può essere descritto prendendo in prestito uno dei più famosi aforismi dello statista: «Il problema di un suicidio politico è che ti lascia ancora vivo per vederne le conseguenze».

In realtà, è probabile che molti sostenitori dell’uscita dall’Ue non rimpiangeranno la scelta fatta, ma i giovani britannici che hanno votato per restare a tutti i costi in Europa quasi certamente ne subiranno i pesanti effetti.

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