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Quella spina nel fianco di Sua Maestà

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Il DOPO BREXIT

Hanno provato nel settembre 2014 a staccarsi dal Regno Unito, andando vicini a farcela, i separatisti scozzesi. Ed è molto probabile che adesso avrebbero la meglio, qualora si tenesse un nuovo referendum indipendentista, a giudicare da tutti i sondaggi. Del resto, se oggi il motivo precipuo per un divorzio dalla Gran Bretagna consiste nella propensione della maggioranza degli elettori scozzesi a rimanere dentro la Ue, finora non s’è mai dissolto un forte sentimento d’identità nazionale, malgrado siano trascorsi più di tre secoli da quando, col trattato d’unione del 1707, la Scozia (insieme all’Irlanda) passò sotto la Corona inglese.

Tanto che non c’è stato in pratica, dopo di allora, un periodo in cui non si sia manifestata in un modo o nell’altro l’insofferenza di gran parte della popolazione locale nei confronti del governo di Londra. Solo dopo la dura repressione con cui la dinastia degli Hannover mise fine nel 1746 alla seconda insurrezione dei “giacobiti” (già ribellatisi nel 1715), favorevoli al ritorno al trono di Giacomo II Stuart o dei suoi discendenti, la Scozia venne domata: ma non al punto di scongiurare per il futuro altri fermenti secessionisti e di eludere comunque il rimpianto di tanti scozzesi per la perdita della sovranità politica. La loro perseveranza nel tramandare la memoria delle proprie tradizioni non si doveva soltanto ai retaggi di una storia del regno di Scozia lunga 400 anni. Si doveva anche alle originali connotazioni culturali assunte dalla comunità scozzese, in quanto il filosofo David Hume fu uno dei protagonisti dell’Illuminismo e Adam Smith, prim’ancora di essere il fondatore della teoria economica classica, si affermò con un’opera in cui la diffusione sociale dell’altruismo veniva eletta quale componente determinante per un progressivo miglioramento della natura umana.

Inoltre, nel corso dell’800 scrittori come Walter Scott e Robert L.Stevenson concorsero a tener viva la nostalgia degli scozzesi per la propria individualità. È vero che l’apertura ai commercianti scozzesi dei mercati coloniali inglesi e il trapianto dei metodi agricoli più avanzati in uso in Inghilterra contribuirono a migliorare l’economia delle Lowlands; ma la recinzione delle terre, per opera delle prime fattorie di tipo capitalistico, sfociò nell’espulsione dei contadini locali; mentre nelle Highlands i pastori finirono per capitolare di fronte all’avanzata delle tenute nobiliari dedite per lo più all’allevamento e alla caccia. Di qui la dispersione di molti abitanti dai propri villaggi e, successivamente, anche un forte movimento migratorio delle frange più povere verso l’America. Per quanto possa risultare oggi anacronistico che in Scozia si sia conservato un profondo attaccamento ai propri tratti distintivi originari, va considerato il fatto che negli orientamenti della gente ha seguitato a influire anche la sopravvivenza sia di una Chiesa nazionale come quella calvinista presbiteriana sia di un ordinamento giudiziario autonomo e separato. D’altro canto, mentre il sistema scolastico e universitario scozzese rimase sino alla seconda metà dell’800 più avanzato di quello inglese, una città aperta e intellettualmente vivace come Edimburgo ha continuato a spiccare nel firmamento culturale europeo.

Se le élites inglesi hanno smesso da tempo di considerare la Scozia quasi solo come l’estremità settentrionale dell’isola, riconoscendo, insieme a determinate prerogative al suo Parlamento, particolari autonomie in campo amministrativo, a loro volta le Highlands hanno man mano conosciuto, dall’epoca della Rivoluzione industriale in poi, importanti trasformazioni economiche grazie allo sviluppo di settori come la meccanica, le costruzioni navali e l’estrazione carbonifera. Senonché ciò è avvenuto sino alla sterzata neo-liberista di Margaret Thatcher. Dopo di allora è andato crescendo il radicalismo della classe operaia intrecciato a un istintivo antagonismo nei confronti della dirigenza politica (anche quella del New Labour).

La spinta separatista, già riaffacciatasi dopo la seconda guerra mondiale, è andata poi accentuandosi in coincidenza col fatto che negli ultimi tempi la Scozia è giunta a disporre di grosse riserve di greggio nelle acque del Mare del Nord antistanti alle sue coste e ospita consistenti basi missilistiche, tanto da essere divenuta un’area strategica. Perciò, se negli anni Sessanta quello scozzese era ancora considerato per lo più come un movimento folcloristico, oggi certe vampate anti-unioniste hanno assunto un’incidenza politica più pervasiva.

Non c’è dubbio che parecchi ostacoli si frappongono a un’opzione europeista per il “remain” della Scozia nella Ue, anche nel caso che la gran maggioranza dei suoi cittadini si pronunciassero per una devolution dal Regno Unito, come ha avuto modo di riscontrare la premier scozzese Nicola Sturgeon nei suoi recenti colloqui a Bruxelles. Tuttavia non va esclusa l’ipotesi di una qualche soluzione praticabile per venire a capo del dilemma posto da Edimburgo, che non intende rinunciare al mercato unico né ai fondi strutturali europei. Intanto la questione scozzese è divenuta senz’altro una grossa spina al fianco della classe politica britannica.

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