
A più di una settimana dal referendum sulla Brexit nel Regno Unito, emergono con maggiore chiarezza le implicazioni che l’esito referendario avrà sulle relazioni economiche della Ue con gli altri blocchi del pianeta.
Oltre alla probabile battuta di arresto sulla ratificazione del Ceta, l’accordo commerciale di nuova generazione con il Canada, e sui negoziati per il Ttip, l’analogo accordo con gli Stati Uniti, la Brexit inciderà su altri importanti dossier commerciali venendo meno la pragmatica influenza che il Regno Unito, il pilastro del libero commercio nella Ue, esercitava.
Tra questi, vi è l’accordo con il Giappone i cui negoziati erano stati avviati prima di quelli per il Ttip e il cui effetto, a regime, potrebbe produrre benefici addirittura superiori. Proprio in Giappone solo poche settimane fa in occasione del summit del G7 a Ise-shima, le parti interessate avevano annunciato di voler accelerare la fase negoziale per concluderla entro l’anno.
L’aspetto più rilevante, però, è dato dalle conseguenze che la Brexit eserciterà sul futuro delle relazioni europee con il gigante cinese.
Su questo dossier, la posizione europea è stata sinora influenzata dalla Germania oltre che dal Regno Unito, ma la strategia di ciascuno di questi due Paesi è stata fondamentalmente diversa. Il Regno Unito ha coerentemente spinto per una maggiore apertura commerciale e finanziaria nella relazione della Ue con l’economia asiatica puntando a diventare l’hub europeo della nuova infrastruttura di mercato che la Cina da tempo ambisce a costruire per facilitare i suoi scambi commerciali e finanziari con il resto dell’Unione.
La Germania, invece, ha seguito un approccio sostanzialmente diverso, orientato alla penetrazione di questo enorme mercato utilizzando due leve fondamentali: da un lato, l’elevato contenuto tecnologico delle sue aziende e dei suoi prodotti industriali e, dall’altro, l’accesso della Cina nella Ue come elemento compensativo di una strategia tesa a conquistare per le imprese tedesche una posizione di preminenza nel mercato dell’economia asiatica. In tal senso, se la relazione della Ue con la Cina dovesse, in futuro, riflettere in misura prevalente l’agenda di Berlino per il venire meno della relazione dialettica anglo-tedesca, gli elementi di frizione si accrescerebbero.
Internamente alla Ue, il conflitto tra i Paesi che “subiscono” l’apertura verso la Cina come elemento di compensazione per una speciale relazione sino-tedesca si acuirebbe in assenza del ruolo stabilizzante svolto dal Regno Unito. Ma la stessa relazione della Ue con la Cina diventerebbe più instabile poiché entrambi i blocchi sono esportatori netti e ciascuno lamenta difficoltà di accesso per le proprie imprese nell’altro mercato.
L’ascesa dell’economia di Pechino nella catena del valore sta considerevolmente aumentando l’appettito per l’acquisizione di aziende europee, prevalentemente tedesche, ad alto contenuto tecnologico. Non è un caso che dall’inizio dell’anno il numero di acquisizioni effettuate da imprese cinesi in Germania abbia raggiunto un picco rispetto agli passati alimentando una sensazione di “assedio” cui l’industria tedesca si sente sottoposta in casa propria.
È presumibile che questa tendenza, per cui la Cina intende diventare produttore a pieno titolo, non più solo imitatore o utilizzatore di prodotti tecnologici per la sua industria, persista a mano a mano che la sua economia riconverte la manifattura pesante e riforma il settore largamente improduttivo delle imprese statali nel contesto in cui il suo export si va ridimensionando ma gli investimenti diretti all’estero espandendo. Del resto, nel perseguire questa strategia, la Cina non può contare sugli Stati Uniti, laddove l’accesso a imprese a elevato contenuto tecnologico, tipicamente con rilevanti ramificazioni nel settore degli armamenti e della difesa, le è precluso. Pertanto, la reazione che si è recentemente manifestata in Germania in seguito all’offerta lanciata da un gruppo cinese su un’importante azienda tedesca leader nel settore dell’automazione industriale è destinata ad ampliarsi e a tradursi, da parte tedesca, nella richiesta a Pechino di partite compensative, come è accaduto nel recente summit bilaterale.
Per gli altri Paesi Ue, tra cui l’Italia, il venir meno della dialettica anglo-tedesca accresce la necessità di aumentare la propria influenza sulle posizioni negoziali della Commissione, così da evitare una distribuzione eccessivamente asimmetrica dei costi e dei benefici nelle relazioni della Ue con gli altri blocchi.
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