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Un doppio fronte per la Nato

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Europa

Un doppio fronte per la Nato

  • –Paolo Migliavacca

Il vertice biennale dei ministri della Difesa della Nato si riunirà a Varsavia l’8 e 9 luglio per discutere (e possibilmente comporre) le differenti visioni e interessi nell’area euro-atlantica e le necessarie risposte da dare alla domanda di sicurezza provienente da due scacchieri egualmente vitali per l’Alleanza: quello orientale - che ruota intorno al binomio deterrenza-dialogo, nel confronto tuttora aperto con la Russia sulla crisi ucraina, iniziata oltre due anni or sono - e quello meridionale - incentrato su aspetti forse poco “strategici” come il terrorismo islamico, la guerra civile siriana e la conseguente crisi migratoria, in cui si chiede alla Nato di assicurare stabilità.

Al vertice guardano con molto più interesse due membri cruciali come Italia e Turchia che, con finalità assai differenti, reclamano dalla Nato sicurezza per il bacino euro-mediterraneo, al fine di evitare ulteriori estensioni del terrorismo in Paesi come Iraq, Egitto e Libia e per rafforzare quelli ancora poco coinvolti (Tunisia) o indenni (Giordania), il cui sovrano, non a caso, sarà presente a Varsavia come ospite d’onore.

In attesa della prima mossa

Saranno, dunque, questi due scenari geo-politici a dominare l’agenda di Varsavia. Ma, considerati gli interessi prioritari del Paese ospitante e di gran parte dell’Alleanza, il focus sarà certo posto sui rapporti con la Russia. Essi, da oltre un anno, sono vincolati all’applicazione dei cosiddetti “accordi di Minsk”, che dovrebbero portare alla progressiva ricomposizione della crisi ucraina, con la creazione di uno Stato federale decentrato, un’ampia autonomia per i distretti filo-russi, che dovrebbero rinunciare alla secessione, e la ritrovata unità statuale sotto il governo di Kiev. In realtà, entrambe le parti attendono che sia il “nemico” a fare la prima mossa e ciò ha portato al mero congelamento dello status quo raggiunto sul campo e a una guerra strisciante “a bassa intensità”. Intanto gran parte dell’Europa occidentale spera che la soluzione (finora vana) del conflitto fermi le sanzioni economiche comminate alla Russia, che pesano duramente sui bilanci europei (tra 40 e 50 miliardi di euro), ma quasi nulla su quelli Usa (circa un miliardo).

Non così è per l’Europa centro-orientale, che vive in modo spasmodico il tema della deterrenza, convenzionale ma anche nucleare, con la Russia. Polonia e Paesi baltici chiedono da tempo la creazione di basi militari permanenti sul loro territorio, in cui la Nato schieri truppe e mezzi aero-terrestri sempre più numerosi. L’Alleanza ha in parte accolto questa domanda organizzando, in base al “Readiness Action Plan” del 2014, esercitazioni militari sempre più vaste e frequenti, presenti anche forze della neutrale Svezia, l’ultima delle quali, denominata “Anaconda 16” e svoltasi poco più di un mese fa in Polonia e Lituania, con il coinvolgimento di 31mila uomini provenienti da 24 Paesi diversi (Italia compresa), è stata la più grande mai effettuata dalla Nato.

Dispiegamento a rotazione

Per venire incontro alle richieste baltico-polacche è, poi, probabile che un battaglione multinazionale (circa 500 uomini) dell’Alleanza stazioni a rotazione in ognuno dei Paesi confinanti con la Russia, per non violare apertamente l’Atto costitutivo dei rapporti Nato-Russia del 1997 che, tra gli altri obblighi, impegna la Nato a non dislocare in modo permanente consistenti risorse militari nei Paesi di nuova adesione.

Ma se questo può temporaneamente smorzare le ansie euro-orientali, è sul tema assai più delicato degli equilibri strategici globali russo-atlantici che si gioca la partita decisiva. E su questo fronte da Varsavia non sono attese novità significative. Il nuovo sistema di difesa anti-missili a cui la Nato lavora alacremente da anni è in pieno dispiegamento. Il 13 maggio il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha inaugurato a Desevelu, in Romania, la prima base operativa e il giorno dopo a Radzikowo, in Polonia, ha avviato i lavori per la seconda, che sarà completata entro un biennio.

La Russia, tuttavia, è da sempre totalmente ostile al progetto: sostiene che costituisca un’inutile minaccia strategica addizionale, nonché una violazione del trattato Inf, che vieta a Mosca e Washington di detenere missili nucleari a raggio intermedio. La tesi russa non appare del tutto credibile: è difficile pensare che alcune decine di missili anti-missile Aegis possano neutralizzare un arsenale atomico ricco di migliaia di vettori e testate. Nel contempo, non convince molto neppure la tesi Usa, secondo cui il nuovo sistema serve solo a difendere Stati Uniti e alleati europei dai missili dell’Iran e della Corea del Nord. Il primo Paese, infatti, è impegnato in una fase di grande apertura all’Occidente, dopo l’accordo raggiunto un anno fa sul controllo delle sue attività nucleari civili, e non pare aver motivo e interesse per minacciare l’Europa. E prima che la Corea del Nord sia in grado di metterci nel suo mirino potrebbero passare altri venti o trent’anni.

Corsa agli armamenti

Come risponderà il Cremlino al progredire dei lavori del sistema anti-missile Nato? Probabilmente avanzando verso ovest altri sistemi missilistici Iskander (con una portata di 500 chilometri), in grado di minacciare dall’enclave russa di Kaliningrad tutta la Polonia, i Paesi baltici e buona parte della Svezia. Ciò alimenterebbe ulteriormente la sfiducia reciproca e la tensione in Europa, cui si unisce una ripresa della corsa agli armamenti (per ora solo convenzionali), sia da parte russa, sia da parte polacca, baltica e scandinava.

Mosca ha respinto di recente l’offerta americana di ulteriori riduzioni delle armi strategiche e pare ormai a rischio perfino il già citato trattato Inf. Il segnale più chiaro di questa acuta tensione sono i sempre più frequenti “scontri simulati” tra forze russe e di Nato e Svezia. Negli ultimi mesi sono avvenuti oltre 60 “incidenti” tra sconfinamenti di aerei, lanci missilistici simulati, collisioni navali sfiorate e interferenze cibernetiche.

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