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Le conseguenze politiche della Brexit

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Dopo il referendum britannico

Le conseguenze politiche della Brexit

Diverse persone meritano ampia esecrazione per la Brexit: dal primo ministro David Cameron, che potrebbe passare alla storia come l'uomo che ha rischiato di affondare l'Europa e la sua stessa nazione in nome di un vantaggio politico transitorio, ai nefasti direttori dei tabloid inglesi, che hanno incessantemente rimpinzato di bugie la cittadinanza.
Detto questo, sono meno inorridito dalla Brexit di quanto ci si potrebbe aspettare. Le conseguenze economiche saranno pesanti, ma non tanto quanto qualcuno sostiene.

Molto più serie potrebbero essere le conseguenze politiche: ma parecchie di queste cose brutte probabilmente sarebbero successe anche se avesse prevalso il “Remain”.

Cominciamo dall'economia. Sì, la Brexit renderà la Gran Bretagna più povera. È difficile tradurre in cifre gli effetti commerciali di un abbandono dell'Unione Europea, ma saranno importanti. È vero che le normali tariffe doganali dell'Omc (ossia le tariffe che i membri dell'Organizzazione mondiale del commercio come la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e l'Unione Europea applicano alle reciproche esportazioni) sono basse, e anche altri tradizionali vincoli agli scambi sono relativamente blandi. Ma tutto quello che abbiamo visto in Europa e in Nordamerica indica che la garanzia di accesso ai mercati produce effetti rilevanti, perché incoraggia investimenti a lunga scadenza finalizzati a vendere prodotti o servizi in più Paesi. L'eliminazione di questa garanzia a lungo andare inciderà negativamente sugli scambi commerciali, anche se non ci dovesse essere alcun tipo di guerra commerciale. E il risultato sarà che la Gran Bretagna diventerà meno produttiva.

Ma per il momento tutti i discorsi si concentrano sulle ripercussioni finanziarie: tracollo dei mercati, recessione in Gran Bretagna e forse nel resto del mondo. Tutte cose che per il momento non vedo.
È vero che la sterlina è scesa in modo rilevante rispetto alle normali oscillazioni quotidiane. Ma per quelli come me, che sono cresciuti studiando le crisi dei mercati emergenti, non si tratta di un calo particolarmente significativo. Dirò di più: è basso anche rispetto alla storia recente della Gran Bretagna. Durante la crisi degli anni 70 la sterlina perse un terzo del suo valore e nel 1992 (quando usci dagli accordi europei di cambio) calò di un quarto, mentre oggi (nel momento in cui scrivo) è scesa dell'8 per cento circa.

Inoltre, la Gran Bretagna è una nazione che prende soldi in prestito nella propria valuta, perciò non corre il rischio di una classica crisi patrimoniale originata da una svalutazione della moneta: detta in altre parole, la Gran Bretagna non è l'Argentina, dove la caduta del peso ha messo in ginocchio aziende e consumatori che avevano contratto debiti in dollari.
Se il vostro timore era che le paure relative alla Brexit provocassero una fuga dei capitali e spingessero in alto i tassi di interesse, beh, sappiate che non c'è nessun segnale in tal senso.

È vero che i mercati azionari globali sono scesi, così come sono scesi i tassi di interesse in tutto il mondo, presumibilmente per effetto dei timori di una debolezza dell'economia che costringerà le Banche centrali a mantenere politiche monetarie molto accomodanti. Perché questi timori?
Una risposta è che l'incertezza potrebbe deprimere gli investimenti. Non si sa come si svilupperà il processo di uscita del Regno Unito ed è immaginabile che le aziende scelgano di rimandare le decisioni di spesa fino a quando i dubbi non si saranno schiariti.

Un problema più serio potrebbe essere rappresentato dalle drammatiche conseguenze politiche, sia in Europa che in Gran Bretagna.
Sembra evidente che il progetto europeo – l'intero sforzo per promuovere pace e unione politica attraverso l'integrazione economica – naviga in pessime acque. La Brexit è probabilmente solo l'inizio: movimenti populisti, separatisti, xenofobi stanno avanzando in tutto il continente. A ciò si aggiunga la debolezza di fondo dell'economia europea, candidata prioritaria alla stagnazione secolare, o i persistenti effetti depressivi di bassa intensità determinati da cose come il declino demografico, che scoraggia gli investimenti. Tantissime persone in questo momento sono estremamente pessimiste sul futuro dell'Europa, e le loro inquietudini sono anche le mie.

Ma queste inquietudini sarebbero rimaste in piedi anche se gli elettori britannici avessero scelto di rimanere nell'Unione Europea. I grandi errori sono stati: l'adozione dell'euro senza un'attenta valutazione di come avrebbe funzionato una moneta unica in assenza di un Governo unico; la disastrosa rappresentazione della crisi dell'euro come una commedia morale messa in moto dall'irresponsabilità del Sud Europa; l'introduzione di una libertà di movimento della manodopera tra Paesi con forti differenze culturali e fortissime differenze di livelli di reddito, senza un'attenta valutazione di cosa avrebbe scatenato. La Brexit è più che altro un sintomo di questi problemi, e della perdita di credibilità delle istituzioni che a questi problemi si è accompagnato. (Il disastro dell'euro ha contribuito alla Brexit – anche se la Gran Bretagna aveva avuto il buon senso di tenersene fuori – proprio attraverso questa perdita di credibilità.)

A livello europeo, in altre parole, la mia opinione è che la Brexit ha portato allo scoperto un ascesso che fra non molto sarebbe comunque esploso.
Dove ci sono stati davvero danni aggiuntivi, danni che non ci sarebbero stati senza il misfatto politico di Mr. Cameron, è all'interno della Gran Bretagna stessa.
In questo campo ovviamente non sono un esperto, ma sembra più che probabile che la Gran Bretagna rafforzerà gli elementi peggiori della vita politica britannica e condurrà alla frantumazione del Regno Unito stesso.

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