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Per superare la crisi di consenso l’Eurozona abbandoni la timidezza

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Dopo Il referendum Britannico

Per superare la crisi di consenso l’Eurozona abbandoni la timidezza

Voglio dedicare un minuto a commentare un recente articolo «di consenso» pubblicato su VoxEu riguardo ai metodi per tenere in piedi l’Eurozona, dal titolo «Rendere più resistente l’Eurozona: cosa bisogna fare subito e cosa può aspettare» (lo trovate – in inglese – a questo indirizzo: bit.ly/28W0AJ1). Gli autori sono il meglio che ci sia, economisti che hanno spiegato splendidamente la crisi e in alcuni casi hanno dato contributi concreti per risolverla, o quantomeno gestirla. Sarei ben felice, quindi, di poter dire cose positive.

Purtroppo, invece, condivido la reazione dell’economista Brad DeLong: davvero è tutto qui quello che hanno da proporre? Mi rendo conto che in nome del consenso un singolo economista deve inevitabilmente «potare» le parti intellettualmente più audaci e politicamente complesse delle sue proposte. Ma in questo caso la ricerca del consenso sembra, di fatto, aver lavato via tutta la sostanza. Non sono nemmeno sicuro di aver capito cosa stiano proponendo di diverso da quello che fa oggi l’Eurozona, nella pratica.

Gli autori invocano un supporto di liquidità nei periodi di crisi, e l’alleggerimento del debito è necessario, a mio parere. Ma è quello che l’Europa già adesso cerca di fare per tirare avanti. Questo gruppo di economisti non invoca un’integrazione dei bilanci pubblici; non invoca nemmeno un sistema europeo di garanzia dei depositi. Davvero non riesco a capire bene cosa stiano proponendo, al di là di un riordino del diagramma organizzativo.
Alludono alla possibilità di una stagnazione secolare, che alcuni di noi considerano un chiaro argomento in favore di stimoli di bilancio e obbiettivi di inflazione più alti. Ma tutto quello che suggeriscono sono… riforme strutturali, la panacea delle élite.

L’unica cosa veramente nuova che ho letto è l’affermazione che il problema principale dell'Eurozona non è il disavanzo, ma il livello della spesa pubblica, affermazione accompagnata da un appello a introdurre regole di spesa. Ma da dove viene questa tesi? Non esiste nessuna correlazione tra l’andamento dell’economia durante la crisi dell’euro e il livello di spesa pubblica in percentuale del prodotto interno lordo: l’Austria ha un grande settore pubblico, mentre Spagna e Irlanda hanno un settore pubblico limitato, in rapporto agli standard europei.

E in assenza di prove chiare che dimostrino che il problema è lo Stato, perché sostenere che bisogna limitare la sovranità nazionale riguardo alle dimensioni del settore pubblico?

Mettiamola così: in un’ottica macroeconomica, l’Europa ha un’economia depressa, con un’inflazione largamente al di sotto di un obiettivo ragionevole, con una disperata necessità di più domanda. E qui ci ritroviamo con un manifesto che invoca meno Stato e riforme strutturali.
Gli autori non sono ideologi del neoliberismo. Ma allora che cosa è successo?
(Traduzione di Fabio Galimberti)

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