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Cina, il debito continua a correre

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Scenari

Cina, il debito continua a correre

La spesa per ricerca e sviluppo finirà nel calcolo del Pil cinese, con l’effetto di far lievitare le cifre di una crescita sempre più stentata. Ma la questione di fondo, al di là dalle alchimie statistiche, resta un’altra. È il debito crescente il convitato di pietra delle mille analisi sulla capacità di tenuta dell’economia cinese. Parlare del livello del debito di Pechino non è cosa facile, meglio glissare. Però l’opinione pubblica vuol saperne di più, la risposta è stata una serie di incontri allo State council al quale hanno preso parte studiosi dell’Accademia di scienze sociali e, in un secondo tempo, alti funzionari delle istituzioni alle prese con il problema.

Opinione condivisa è che a preoccupare non è il debito in sé, quanto il suo ritmo di crescita che mette la Cina in una posizione scomoda, specie se si pensa alla mole di riforme che deve mandare in porto, molte delle quali in parallelo.

David Lipton, deputy director del Fondo monetario internazionale, non a caso, nell’ultima trasferta a Pechino per il check annuale sullo stato del Paese ha messo in guardia dai rischi finanziari e, soprattutto, dal debito complessivo rampante che ha raggiunto il 225% del Pil raddoppiando, quasi, a partire dal 2008.

Il negazionismo a oltranza sulle conseguenze di un debito eccessivo non può che danneggiare la Cina, forse al pari delle posizioni apocalittiche, ben più radicali. La questione è sul tavolo dei vertici del Paese che stanno cercando possibili soluzioni.

Sun Xuegong, vicecapo del dipartimento della finanza della Ndrc, la National development and reform commission, ammette che il vero nodo è il deleveraging, ossia la necessità di risolvere i problemi del debito e del suo smaltimento: «Gli attuali livelli di debito complessivo della Cina e il rapporto totale di leva non sono elevati ma, è un dato di fatto, il debito è aumentato rapidamente. Siamo entrati nel club dei Paesi il cui livello di debito sul Pil è nella fascia tra 200-300%. Ma le condizioni speciali della Cina, ancora in via di sviluppo, implicano che ci può essere una fase di leva finanziaria relativamente alta, a noi è successo proprio questo. D’altronde il tasso di risparmio della Cina è relativamente alto, circa il 50%, significativamente superiore alla media internazionale il che porterà a forme di finanziamento diversificate».

In definitiva, al pari dell’inquinamento ambientale, il debito cinese è dovuto alla crescita tumultuosa del Paese, e il rischio complessivo è controllabile, a patto che il deficit non cresca ulteriormente a causa dell’attuale rallentamento della stessa crescita.

Del rischio-debito degli enti locali parla Wang Ke Bing, del ministero delle Finanze: «A fine 2015, inclusi nel saldo del debito del bilancio centrale c’erano 10,66 miliardi di yuan, ma il debito reale delle amministrazioni locali era di 16 miliardi, mentre quello del governo nazionale ne vanta uno da 26.66 miliardi di yuan, pari al 39,4% del Pil. L’anno scorso, il Congresso nazionale del popolo ha approvato il limite complessivo di 16 miliardi di yuan, limite di indebitamento locale non deve essere superato. Stiamo procedendo con l’operazione di rinnovo dello stock di debito pubblico imputabile agli enti locali per rimettere in sesto le loro casse. Attualmente 31 province del Paese, i comuni e le regioni autonome sono coinvolti per sviluppare un piano di mitigazione del rischio o di meccanismi di risposta alle emergenze».

Ruan Jianhong, responsabile dell’ufficio di statistica della Banca centrale cinese ricorda che «nel calcolo del debito, da un punto di vista macroeconomico ci sono tre settori istituzionali, le famiglie, le imprese e i dipartimenti governativi, sommandoli si può ottenere il debito complessivo dell’economia. Dovremmo però essere molto attenti e precisi. Il livello di debito pubblico dovrebbe essere del 44%, il settore delle famiglie è al 39,5%, i livelli di indebitamento del settore delle famiglie sono quindi inferiori a quelli delle principali economie della comunità internazionale».

Restano le aziende, il debito corporate è appesantito dalle famigerate “aziende zombi”, si fa strada l’idea che debbano fallire o cambiar pelle attraverso una combinazione di fusioni e acquisizioni. «Bisogna escluderle dai finanziamenti, il settore corporate ha un debito relativamente elevato, si stima al 170%, se l’economia rallenta il quadro si complica, le sofferenze pure – è la tesi di Wang Shengbang della Crbc, l’autorità che regolamenta i mercati finanziari – ma è giusto che si individui il concetto di sofferenze: secondo le norme internazionali è quello che chiede di avere la prova oggettiva che la situazione è compromessa o che i grandi prestiti non si possono recuperare completamente (non-performing). Le banche cinesi, specie quelle commerciali, sono in grado di farvi fronte, a questo aumento del debito e delle sofferenze. Ma se non si prendono misure adeguate, la situazione continua a deragliare, si intreccia con altri fattori, e inevitabilmente tutto ciò porterà a un maggiore impatto negativo».

Forse le stesse autorità si rendono conto per la prima volta che non possono esserci più bolle autorizzate. Così le ha chiamate Ning Zhu, docente allo Shanghai advanced institute of finance che al fenomeno cinese della bolla autorizzata ha dedicato un libro. «In un Paese in cui è successo di tutto, si chiedono soldi per comprar casa al settore bancario ombra al tasso del 20% e queste poi tracollano, si investe in borsa con l’indice a 5000 in grado di piombare nel baratro dei 3000, forse è ora di chiedere e pretendere, dal basso, le giuste riforme».

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