Commenti

Investimenti vera risposta dell'Europa a Brexit

  • Abbonati
  • Accedi
L'Editoriale|politiche di crescita

Investimenti vera risposta dell'Europa a Brexit

L'Eurozona e la Ue proseguono nell'illusione che una politica monetaria sganciata da investimenti, occupazione e crescita, le riforme strutturali, il rigore fiscale, il “bail in bancario” generalizzato, stiano riassorbendo gli effetti della crisi e promuovendo uno storico rilancio strutturale europeo. Da tempo noi (come altri) sosteniamo che non sarà così.
Neppure una politica monetaria aggressiva, pur avendo meritoriamente tamponato falle e sedato i debiti sovrani esposti, potrà, quasi da sola, rilanciare la crescita anche perché il tempo è poco ed eventi come Brexit lo accorciano ulteriormente.
Su questo sfondo si colloca adesso una proposta forte del Comitato economico e sociale europeo (Cese) che da febbraio 2015 sta studiando il problema dei non-rapporti tra economia reale europea e politica monetaria, tra Bce e Bei, tra investimenti e credito. La tesi è che dalla separatezza bisogna passare alla collaborazione, perché la sproporzione delle quantità è patologica come dimostrano i 2.800 miliardi di interventi monetari a fronte dei 21 miliardi per gli investimenti del Piano Juncker! Esaminiamo la proposta inquadrandola nel partenariato europeo pubblico-privato.
Partenariato europeo. Il Cese è un organo consultivo delle istituzioni Ue, creato dai Trattati europei nel 1957, per esprime i pareri degli “stakeholders” che in una buona democrazia dovrebbero contare. È un organo poco conosciuto e una ragione di ciò consiste nel fatto che la costruzione europea si è modificata nel tempo incorporando regole meccaniche fondate sul binomio stato-mercato (che altri Paesi sviluppati hanno enunciato e molto spesso pragmaticamente violato) dove il primo garantisce il liberismo del secondo. La Ue era invece nata su un principio di partenariato pubblico-privato, di sussidiarietà sia tra livelli di governo sia tra istituzioni, società ed economia.

Adesso è diventata un modello di dogmatismo che confonde l'intervento pubblico per correggere i fallimenti del mercato con gli aiuti di Stato e che quindi è contro l'uso di risorse pubbliche sia per la messa in sicurezza di sistemi creditizi aggrediti dal “mercato” sia per sostenere gli investimenti usando la regola aurea dello scorporo dai deficit. Ne è seguito un forte calo di “fiducia europea” di cittadini e operatori.
L'errore di fondo sta nel non avere attivato forti strumenti europei pubblici di intervento finanziario-produttivo sia per contrastare le crisi sia per investire nella crescita evitando però le distorsioni partitico-elettorali e lassismi nazionali. È vero che ci sono adesso il Fondo Esm e il Piano Juncker ma si tratta di iniziative deboli. La Bce è l'unico strumento potente ed unitario di politica economica attiva vincolato però all'obiettivo di inflazione al 2% e di stabilità del sistema monetario e creditizio non essendo la crescita (da cui discende tutela anche dei due obiettivi indicati) un suo problema.
Piano Juncker e Bce. Su questo aspetto si concentra il Cese, che evidenzia l'enorme sproporzione tra il Piano Juncker, che è partito con una dotazione di 21 miliardi di euro e l'espansione monetaria della Bce che tra il 2011 e il 2016 supera i 2.800 miliardi. Il primo pesa 0,2% del Pil dell'Eurozona mentre la secondo è pari al 28%. Il solo programma della Bce di Extended asset purchasing program per 1.140 miliardi sul 2015 e 2016 è 50 volte più grande delle risorse date al Piano Juncker. Argomenta inoltre il Cese che questa espansione monetaria ha poco contributo alla crescita perché la trasmissione tramite il sistema bancario al sistema produttivo è stato limitato.Il Cese analizza anche la portata normativa del mandato affidato dai Trattati alla Bce di “mantenere la stabilità dei prezzi” sostenendo che non verrà raggiunto senza un rilancio dell'economia reale. Per questo la politica monetaria va riorientata al sistema produttivo e agli investimenti infrastrutturali europei essendo l'alternativa, che è già nei fatti, quella di una liquidità che rimane nel sistema bancario-finanziario, che alimenta la speculazione, che va verso Paesi extraeuropei, con tutte le incognite di nuove invenzioni finanziarie connesse ai tassi euro-zero-negativi che stanno invece fiaccando banche commerciali e assicurazioni.
Bce e Bei. La parte propositiva più forte del Cese è quella di coinvolgere la Banca europea degli investimenti (Bei) e le National promotional banks (Npb), ovvero le casse depositi e prestiti o similari, per migliorare l'effettività della politica monetaria nella trasmissione all'economia reale. La Bce potrebbe massicciamente sia dare liquidità alla Bei e alle Npb sia comprare obbligazioni della Bei e delle Npb. Spetterebbe a queste ultime far arrivare la liquidità al sistema produttivo o tramite le banche commerciali o direttamente. In ogni caso in modo ben più finalizzato di quanto accaduto sino ad ora dati i maggiori gradi di libertà e le maggiori competenze in economia reale della Bei e delle Npb. Le proposte vanno anche oltre e tra queste spicca quella di creare un Fondo gestito dalla Bei ma di proprietà della Bce e dell'Eurosistema oppure un fondo di proprietà della Bei oppure un fondo di proprietà Bce-Bei. Un accordo-quadro di collaborazione tra Bce e Bei dovrebbe essere studiato subito e stabilito sul modello di altri accordi che già esistono nella Ue. L'accordo garantirebbe l'indipendenza delle parti contraenti ma anche la complementarietà del loro operare per far affluire liquidità all'economia reale evitando così i rischi di una miscela tra stagnazione e smottamento del sistema economico-finanziario europeo.
Conclusioni politiche. Le proposte del Cese (alle quali si avvicinano molto quelle di due fondazioni legate ai partiti socialdemocratici tedesco e spagnolo) sono più forti, anche in termini di modifiche dei vigenti Trattati, di altre fatte per rilanciare gli investimenti. Anche loro si infrangono però contro i noti ostacoli di contrarietà a qualunque rafforzamento della Ue e della Uem con alcune Unioni (il che non significa fusioni politiche federali). Il Cese se ne rende conto e si appella perciò al Parlamento europeo “quale rappresentante dell'interesse generale del popolo europeo” sperando che il messaggio politico giunga anche alle altre istituzioni (Commissione e Consiglio ma anche Bce e Bei) che dovrebbero co-decidere per rilanciare la costruzione europea. Anche internazionalmente.

© Riproduzione riservata