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Il «dopo di noi» inizia già adesso

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Scenari

Il «dopo di noi» inizia già adesso

  • –Beatrice Dalia

Accudirli, farli crescere sereni e realizzati per poi lasciarli andare. L’obiettivo esistenziale e giuridico, comune a tutti i genitori, diventa l’impresa del “dopo di noi” per tante famiglie in cui ci sono persone con disabilità gravi. Il 25 giugno scorso è entrata in vigore la legge 112/2016, che ha proprio l’obiettivo di dare ulteriori strumenti a coloro che hanno bisogno di preservare, con ancora maggior cura, la qualità della vita di chi gli sopravviverà. Si tratta di uno di quei casi in cui il diritto va a toccare le corde delicate degli affetti più cari; ma lo fa con l’inevitabile distacco di norme destinate a mettere in chiaro, innanzitutto, le questioni economiche relative ai soggetti fragili.

Tanto da far sembrare roba da legge di Stabilità le maggiori innovazioni del provvedimento come trust, atti di destinazione e sgravi fiscali (si veda «Il Sole 24 Ore» del 17 e 19 giugno 2016). Con disappunto di quanti avrebbero voluto altrettanta dovizia tecnica nella disciplina delle prassi virtuose da prescrivere per favorire progetti di autonomia delle persone con difficoltà. O di quelli che si aspettavano stanziamenti economici da lotteria. E a leggere le critiche, sembrerebbe che la legge del “dopo di noi” non abbia abbastanza “cuore”.

La novità per tutti

Sicuramente si tratta di un punto di partenza e non di arrivo, ma il provvedimento - tra le righe del primo comma dell’articolo 1 - cela una vera e propria svolta nel modo di fare assistenza pubblica. I soldi del nuovo Fondo istituito con l’articolo 3 (90 milioni per l’anno 2016, 38,3 per il 2017 e 56,1 a decorrere dal 2018) sono diretti alle famiglie, che restano le protagoniste assolute di questa opportunità, per iniziare da subito a ideare e attuare progetti o tentativi di vita autonoma dei propri ragazzi. Quindi, in realtà, un “durante noi” dalle ricadute immediate. Il tutto nell’ottica di aggiungere e non certo sottrarre agli stanziamenti già previsti e alle norme esistenti. Anche perché proprio sulla promozione della “vita indipendente” c’è la legge 162/1998, che ha prodotto numerosi esperimenti virtuosi da cui l’attuale normativa ha preso spunto con l’intento di valorizzarli.

Le storie

Nessuno meglio dei genitori sa cosa è bene per i propri figli. Sono mamma e papà ad avere il know how giusto per l’investimento più impegnativo e faticoso: il futuro dei loro ragazzi. Con la legge 112 lo Stato sembra deciso a investire su questa competenza, con soddisfazione delle famiglie che da sempre si rimboccano le maniche per elaborare «un protocollo di vita felice», come lo definisce Gianluca Nicoletti, giornalista, scrittore e papà di Tommy, un diciassettenne autistico - anzi teppautistico - per il cui benessere è in prima linea da anni.

«È la prima volta - racconta Nicoletti - che lo Stato ammette che tu puoi essere parte attiva e propositiva, creando valide alternative alle discariche di materiale umano che certi istituti sono. Le famiglie devono diventare imprenditori dei propri figli».

Di fatto le attuali politiche sociali sono finalizzate per l’85% all’istituzionalizzazione, ovvero il ricovero in strutture, dei soggetti con deficit cognitivi importanti. Per molti di questi disabili gravi, ma con una certa microabilità, esistono reali possibilità di inclusione sociale e autorganizzazione, che vanno dal continuare a vivere a casa loro, al condividere appartamenti con altri, all’inserirsi con profitto nel mondo del lavoro.

Girando l’Italia, si possono incontrare loro, le persone che stanno sfidando - sostenuti dai loro cari - luoghi comuni e pregiudizi per essere considerati, a tutti gli effetti, parte attiva della società. A Pordenone ci sono venti ragazzi, altrimenti destinati ai centri diurni, che vivono da soli; a Trento è stata inaugurata “Casa Sebastiano”, polo all’avanguardia per la cura dei soggetti autistici; a L’Aquila un papà ha affidato la gestione dell’azienda alla propria figlia, seguita da un amministratore di sostegno; a Modena esiste un’azienda che produce tortellini, con dipendenti disabili, a cui dà il brand un noto chef; in Campania è nato un nuovo network di bed&breakfast gestiti da giovani con disabilità o con esigenze speciali.

Le criticità

Un quadro creativo che è molto legato al territorio e alle realtà locali, dal momento che le politiche socio-sanitarie sono competenza di Regioni e Comuni. Ed è qui che si innesta una delle maggiori perplessità sulla nuova legge: il rischio di assistere prima o poi a una sorta di “turismo della speranza” da parte di quelle famiglie che vivono in territori poco accorti.

«Era meglio fare una legge quadro - sottolinea Sergio Silvestri, presidente di Coordown - che desse alle Regioni le prassi comuni da attuare, tenendo presente, tra l’altro, che servono soprattutto soluzioni che diano respiro, adesso, alle famiglie che seguono i figli a casa».

Le discrepanze territoriali sono ben presenti all’Osservatorio nazionale sulla disabilità, di cui Silvestri fa parte, che proprio il 13 luglio si riunisce per approvare le linee guida relative all’attuazione dell’articolo 19 della Convenzione Onu, ovvero la norma che sancisce il diritto delle persone con disabilità di scegliere liberamente dove, come e con chi vivere, evitando ogni situazione segregante o di esclusione o di isolamento. Si tratta di indicazioni preziose di cui «sicuramente terranno conto i decreti attuativi - assicura Elena Carnevali, relatrice di maggioranza della legge 112 - che dovranno essere emanati entro sei mesi, proprio per definire gli obiettivi di servizio e individuare requisiti e criteri per l’accesso al Fondo, ma si è deliberatamente scelto di non riprodurre in scala la logica degli standard gestionali e strutturali della legge 162, per non irrigidire eccessivamente la norma». Per non imprigionare i sogni, verrebbe da pensare, prima ancora di averli liberati.

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