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Quando la «curva» gestisce lo spaccio

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i mali del calcio

Quando la «curva» gestisce lo spaccio

(LaPresse)
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Cori in curva, biglietti di straforo per garantire tranquillità, oltre che consenso e droga, tanta droga prima, durante o dopo la partita. Dovunque essa si giochi.

Sullo sfondo, come se questo non bastasse a fare sempre più spesso di uno stadio un crocevia di traffici sporchi, di cui quello del mercato nero dei biglietti sui quali fare la cresta o vendere a prezzi maggiorati appare come il meno pericoloso, c’è uno scenario ancora più inquietante. Vale a dire che le trasferte organizzate da molti club “borderline”, pieni zeppi come un uovo di soggetti adusi a fare da sempre i conti con la Giustizia, servano anche per trafficare ancora più pesantemente in droga e armi, approfittando del fatto che spesso i controlli sui bus sono meno rigorosi (soprattutto lungo il tragitto) e che gli automezzi, una volta svuotatisi dei tifosi, restano nei parcheggi o nelle soste lungo l’autostrada e allora diventa più facile caricare o scaricare merci, all’insaputa di chi scende per una sosta ristoratrice o entra e esce dallo stadio. Non solo.

Secondo quanto alcuni investigatori stanno approfondendo nelle province del sud ad alta densità mafiosa, molti messaggi tra consorterie mafiose, viaggiano sugli stessi pullman che riversano in giro per l’Italia tifoserie festanti e ignare. Pizzini lasciati nelle mani e nelle voci di infiltrati che con lo sport e con i suoi valori nulla hanno a che fare e che, specie con le trasferte oltreconfine, riescono anche a entrare in contatto con le mafie indigene e straniere per continuare a fare l’unica cosa che sono capaci di organizzare sotto le mentite sembianze di tifosi: affari illeciti.

Le frange di tifoserie più violente e criminali del calcio, non solo italiano, sono ormai diventate delle raffinate centrali di smistamento del potere e dei traffici più sporchi nelle mani delle mafie. Da sud a nord ma cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia. Ne è passato di tempo da quando – correva il 22 dicembre 2002 – uno striscione di carta contro il carcere duro per i boss rimase esposto per tre lunghissimi minuti nella curva sud dello stadio Renzo Barbera di Palermo durante la partita con l’Ascoli. «Uniti contro il 41 bis. Berlusconi dimentica la Sicilia», recitava lo slogan che venne sequestrato, dopo una colluttazione, dai poliziotti. In questi 14 anni le infiltrazioni sono diventate radici profonde che occupano uno spazio fisico nello stadio – anche a dispetto delle società-vittime, che seppur in maniera ancora troppo timida collaborano con Forze dell’ordine e magistratura – ma si estendono ben al di fuori dei tornelli.

L’ultimo misterioso episodio – la morte di un ex capo dei Drughi juventini, il foggiano Raffaello Bucci, trovato cadavere il giorno dopo essere stato ascoltato dalla Procura di Torino che sta indagando su presunti intrecci tra tifo organizzato e la ’ndrangheta, che in Piemonte detta legge – è solo la punta di un iceberg che recentemente, sempre a Torino, ha visto affiorare altri pezzi.

Ancora una volta il connubio tifo-droga è apparso evidente. Il 5 aprile 2016, infatti, l’agrigentino Andrea Puntorno, considerato tra i capi dei “Bravi ragazzi”, una delle formazioni della tifoseria bianconera, è stato sottoposto alla sorveglianza speciale per tre anni e alla confisca di beni per 500mila euro, dopo che nel novembre 2014, era stato arrestato in seguito a una maxi inchiesta internazionale di droga. Nel decreto di confisca, sollecitato dal procuratore aggiunto Alberto Perduca, si legge che dovrà «darsi alla ricerca di un lavoro entro trenta giorni dalla comunicazione del decreto». Puntorno venne assolto nell’ottobre del 2014 da una precedente accusa di traffico di droga ma, ricorda il tribunale, «emerge con grande chiarezza che nell’autunno del 2014 Puntorno continuava a frequentare gli ambienti torinesi dello spaccio di stupefacenti. Sicché è certamente possibile ritenere che la sua evidente pericolosità sociale di soggetto dedito in modo abituale al traffico della droga recava in sé anche il connotato dell’attualità». Uno scenario non solo di spaccio di alcuni capi ultrà bianconeri, ma di incassi di una «rilevante attività di bagarinaggio».

Il traffico di droga in curva prima, durante e dopo gli incontri non solo casalinghi ma anche nazionali e internazionali, fa ancora da sfondo ad alcune indagini della Procura di Napoli. La sola cronaca locale si interessò della furiosa rissa scoppiata il 30 agosto 2015, durante la partita notturna Napoli-Sampdoria. Dietro gli scontri, verosimilmente, due fazioni storicamente in lotta non soltanto per i controllo dei traffici illeciti in città (dunque le curve diventano terreno anche per regolare i conti illeciti fuori dal perimetro dello stadio) ma anche dello spaccio dentro e fuori il San Paolo. Da una parte il clan Sequino-Esposito (radicato nel rione Sanità), dall’altro i fan dei Sibillo, la cosiddetta paranza dei bimbi di Forcella. Senza dimenticare che i Casalesi, nel 2004, tentarono un’ardita operazione – poi fallita – che doveva portarli a scalare la società calcistica Lazio.

Droga, armi, bagarinaggio e, infine, merchandising (senza contare che la contraffazione dei prodotti sportivi è già in larga parte in mano delle mafie, a partire dalle bancarelle, abusive e no, fuori dagli stadi). L’indagine di dicembre 2014 “Mondo di mezzo” della Procura di Roma, non ha infatti portato alla luce solo i legami tra la presunta organizzazione criminale governata da Massimo Carminati e alcuni capi delle tifoserie laziale e romanista e i rapporti di uno di loro con il clan di camorra Senese, il cui core business è (ancora una volta) il narcotraffico. Nell’indagine ha infatti fatto capolino l’interesse dell’organizzazione per la promozione e la vendita dei prodotti delle due società sportive.

Insomma cori in curva, droga, armi, biglietti e magliette.

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