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Le conseguenze di Brexit: un consenso più politico che analitico

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lo scenario

Le conseguenze di Brexit: un consenso più politico che analitico

Quando contesto la premessa, quasi universale tra gli economisti, che la Brexit produrrà un pesante shock negativo per la domanda, non lo faccio perché voglio sembrare più intelligente degli altri dicendo cose che vanno contro il senso comune, né tantomeno lo faccio perché voglio difendere i sostenitori dell'uscita di Londra dall'Ue. È solo che davvero non riesco a capire su cosa si basi questo consenso unanime, considerando che nei modelli macroeconomici standard non c'è nulla che indichi che una misura negativa per il versante dell'offerta di un'economia nel lungo termine debba necessariamente danneggiare anche il versante della domanda nel breve termine. E il mio timore è che l'apparente consenso unanime degli economisti sia, in un certo senso, più politico che analitico: è evidente che il libero scambio è una cosa buona, perciò chi se ne importa se gli argomenti usati per spiegare perché è tanto sbagliato tagliare i ponti con l'Europa non sono particolarmente accurati.

Ho ricevuto diverse risposte ponderate da economisti che stimo, e tutti mi hanno proposto un'argomentazione specifica sugli effetti dell'incertezza indotta dalla Brexit. Recita più o meno così: in questo momento, le imprese non sanno quanto saranno stretti i legami del Regno Unito con l'Europa, perciò la cosa logica, per loro, è rimandare gli investimenti fino a quando la situazione non si sarà chiarita.

Sostanzialmente, la forma incerta della Brexit crea un valore di opzione per l'attesa. È un argomento interessante e difendibile. Ma ho tre domande al riguardo.

La prima è: siamo sicuri che sia questa la tesi alla base di tutte queste fosche previsioni per il dopo-Brexit? La mia impressione è che pochissimi di quelli che leggono le notizie della stampa, o addirittura le relazioni sulla Brexit, hanno sentito questa artgomentazione. Il messaggio che arriva a loro assomiglia molto di più al concetto che incertezza significa una maggiore probabilità che capitino cose brutte. In altre parole, questo argomento è molto più sfumato e sottile di tutto quello che ho sentito finora in questo dibattito.

La seconda domanda è: questo argomento non implica un successivo boom degli investimenti, una volta che l'incertezza si sarà diradata, in un senso o nell'altro? Quando il premier britannico Nigel Farage e la presidente francese Marine Le Pen avranno ottenuto la dipartita dell'Unione Europea, non ci sarà più motivo di aspettare e tutti quegli investimenti trattenuti torneranno in forze, giusto? Ma non ho sentito nessuno sostenere che l'effetto recessivo della Brexit sarà seguito da un boom compensativo, una volta appianate le cose.

La terza domanda è: ma questa tesi non implica, in sostanza, che qualsiasi negoziazione politica di cui non si conosce l'esito dovrebbe avere lo stesso effetto? Perché, allora, non dire che il Partenariato transpacifico o il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti sono recessivi perché le imprese sono incentivate a rimandare le decisioni di investimento fino al momento in cui si saprà se questi accordi ci saranno davvero? Ma non ho mai sentito nessuno sostenere gli effetti depressivi di liberalizzazioni degli scambi ancora in fieri.

Lo ripeto, non sto cercando di difendere la Brexit. Ma la mia preoccupazione è che la smania di condannarla conduca a un abbassamento degli standard intellettuali.

Lasciatemi dire anche che alcuni giornalisti finanziari (non tutti) si stanno facendo prendere un po' la mano dalla retorica del disastro. Complessivamente, la reazione del mercato mi sembra abbastanza misurata. E non parlo solo delle azioni: anche gli spread sui titoli di Stato europei sono più o meno ai livelli a cui erano un mese fa. Sì, a livello mondiale i tassi sono considerevolmente più bassi: ma non stiamo assistendo agli sconvolgimenti finanziari che quasi tutti prevedevano. Eppure, dovunque si giri lo sguardo non si vedono che titoli sul terremoto che verrà.

Potrei sbagliarmi? Naturalmente. Ma tutti farebbero bene a chiedersi da dove venga questo consenso sugli aspetti macroeconomici della Brexit.
(Traduzione di Fabio Galimberti)

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