La notizia della vile aggressione alla parrocchia di Rouen, nella quale è stato sgozzato il parroco e feriti gravemente altri fedeli, mi ha raggiunto a Cracovia. Qui centinaia di migliaia di giovani si sono dati appuntamento per dire al mondo una parola diametralmente opposta al macabro messaggio che, con ossessiva puntualità, sta mandando Daesh.
A questi giovani Papa Francesco ha affidato un messaggio («Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia»), che si stenta umanamente a interiorizzare davanti al sangue ancora caldo che esce dalle ferite inferte a padre Jacques Hamel e ai suoi fedeli.
Non mi è mai riuscito di “guardare dall’esterno” episodi di violenza. Ancor meno mi riesce di farlo dinanzi a quanto è successo in Normandia. E non solo perché vittima della violenza assurda è un prete. Sono infatti già troppi purtroppo i preti, i vescovi e i religiosi che con tanti fedeli sono stati uccisi da Daesh. Ma quello che è successo a Rouen non è solo l’ennesima barbarie, che si consuma in questo tempo di terrore e di violenza diffusi. Quello che è successo rischia, infatti, di allontanare ancora di più la possibilità di capire cosa sta succedendo e cosa viene chiesto di fare a tutti per fermare la furia omicida di gente esaltata. Come si fa a far capire a chi vive di semplificazioni che ridurre quello che sta succedendo a “guerra di religione” non aiuta a farci uscire dal tunnel della violenza? Come si fa a far capire che una guerra non è mai finita grazie a un’altra guerra e che la violenza non è mai stata vinta da altra violenza?
Rouen ci dice, ancora una volta, che l’ottusa cecità che ha armato i due attentatori non semina solo vittime, non fa crescere solo il panico e il senso di insicurezza: l’ottusa cecità del violento fa alzare in volo anche gli avvoltoi e arma i cacciatori di consenso. Questo ennesimo dramma, consumatosi tra i banchi di una chiesa cattolica, oltre alle forti parole di condanna come quelle contenute nel comunicato dei Vescovi italiani, esige qualcosa di più.
Esige l’impegno di tutti a creare condizioni di maggiore sicurezza che, oltre che su sistemi sempre più efficaci, deve poter contare su una cultura diversa, dalla quale vanno banditi – una volta per sempre – luoghi comuni, pericolose semplificazioni e violenze verbali. Fa bene, a questo proposito, ricordare l’ammonimento di Leonardo Sciascia, per il quale «la sicurezza del potere si fonda sull’insicurezza dei cittadini». Il fuoco che, con frequenza insopportabile, brucia e distrugge i luoghi di incontro e di vita non può farci rinunciare a domandarci cosa stia succedendo e per quali ragioni. Dico questo perché, purtroppo, dinanzi a questo orrore c’è gente che, prima ancora dell’invito alla preghiera, non trova e non ha trovato altro da fare che inondare i social di invettive violente e di volgarità gratuite. Ma è troppo vile e sterile prendendosela con chi – Papa Francesco in testa – continua a condannare senza appello la violenza Daesh e nello stesso tempo mette in guardia dal ricorso dannoso alla violenza delle parole e a quella sorda e interessata delle armi.
L’autore è segretario generale della Cei
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