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Dossier Otto incertezze sul destino di Londra

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Dossier | N. (none) articoliReferendum su Brexit

Otto incertezze sul destino di Londra

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al 13 luglio il Regno Unito ha un nuovo primo ministro, ma il futuro del Paese post-Unione europea permane incerto e i prolungati temporeggiamenti non faranno che corroborare la decisione degli elettori di uscire dall’Ue.

La prima incertezza riguarda la data di inizio dei negoziati di uscita. L’iter dovrebbe essere completato entro due anni da quando viene invocato l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, ma il nuovo primo ministro Theresa May ha già detto che non intende avviare i negoziati prima della fine dell’anno.

La seconda incertezza è se i negoziati possono risolvere contemporaneamente i termini dell’uscita dall’Ue e i futuri accordi commerciali con il Mercato unico europeo. Mentre il Regno Unito dirà che, in virtù dell’articolo 50, i negoziatori dovrebbero «tenere conto del quadro dei futuri rapporti», il negoziatore commerciale Ue sta insistendo che gli accordi futuri vengano discussi solo dopo l’uscita del Regno Unito.

La terza incertezza riguarda gli obiettivi negoziali del Regno Unito: pieno accesso al Mercato unico (opzione norvegese) o accesso parziale (opzione svizzera)? Opzione canadese a tariffe basse o scambi commerciali con l’Europa negli stessi termini dei membri dell’Organizzazione mondiale del commercio?

La quarta incertezza nasce dai timori degli elettori sull’immigrazione e sulla misura in cui qualsiasi nuovo accordo commerciale con l’Ue andrà subordinato a una limitazione della libera circolazione dei lavoratori. Il nuovo premier ha detto che non accetterà un’adesione al Mercato unico senza un accordo sull’immigrazione.

In teoria, l’opzione norvegese – l’adesione allo Spazio economico europeo (See) – potrebbe essere ampliata in modo da includere un protocollo come quello del Liechtenstein sulla limitazione dei permessi di soggiorno o invocare la clausola di salvaguardia dello See per prevedere restrizioni migratorie nel caso i flussi dovessero aumentare troppo rapidamente. Ma l’Ue avrà le sue difficoltà ad approvare un cambiamento del genere per timore che altri possano chiedere la stessa concessione.

La quinta incertezza riguarda la posizione negoziale dell’Ue, a cominciare da chi condurrà i negoziati, la Commissione europea o il Consiglio dei Ministri. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha già detto chiaramente che non intende dare carta bianca alla Commissione per negoziare al posto della Germania.

La sesta incertezza concerne le circostanze economiche nelle quali si svolgeranno i negoziati. Il Regno Unito sembra scivolare verso una recessione con le imprese che tengono in sospeso i loro piani di investimento. Aumenterà la pressione delle attività commerciali, economiche e finanziarie sul governo inglese ad accelerare i tempi, perché più si aspetta, più si abbassa la fiducia e, di conseguenza, più si indebolisce la posizione negoziale del Regno Unito.

La settima incertezza è se il Regno Unito riuscirà a sopravvivere. Se i conservatori vogliono che la Scozia faccia parte di un’Inghilterra senza Europa, i nazionalisti scozzesi vogliono la Scozia in un’Europa senza Inghilterra. E con i repubblicani dell’Irlanda del Nord capitanati dal Sinn Féin, che chiedono un referendum per unirsi all’Eire, è l’esistenza stessa del Regno Unito a essere in gioco.

Un modo per far diminuire l’incertezza e c’è: il governo dovrebbe annunciare in tempi brevi che negozierà con l’Ue ispirandosi all’opzione norvegese e dovrebbe dire chiaramente che i cittadini europei che già vivono nel Regno Unito sono i benvenuti. Questa strada darebbe all’Inghilterra quello che vogliono le attività commerciali, l’accesso al Mercato unico. Se il Regno Unito dovesse continuare a contribuire al budget dell’Ue, potrebbe riportare a livello nazionale la responsabilità per le politiche agricole e ittiche e negoziare i suoi accordi commerciali (per esempio, con la Cina e con l’India). L’adesione allo See offrirebbe un altro vantaggio: darebbe alla Scozia parità di condizione negli scambi con i 27 membri dell’Ue.

È anche essenziale risolvere la spinosa questione dell’immigrazione. Qualsiasi soluzione efficace deve prevedere un fondo per aiutare le comunità in cui le strutture sanitarie, educative e altri servizi pubblici sono messe a dura prova dal fortissimo aumento della popolazione. Serve anche un’applicazione più severa del salario minimo e di altre tutele dei lavoratori in modo da placare i timori che i migranti stiano provocando una corsa al ribasso. E i negoziati See dovrebbero partire dal presupposto che la nostra adesione preveda un protocollo sull’immigrazione e la possibilità di ricorrere alla clausola di salvaguardia se le pressioni dovessero aumentare.

Un’ottava e ancora maggiore incertezza, tuttavia, riguarda il futuro ruolo globale del Regno Unito. In particolare, come risponderà allo spostamento irreversibile verso l’Asia del centro di gravità dell’economia globale e alle innovazioni tecnologiche che stanno rivoluzionando industrie e occupazioni – alimentando così le preoccupazioni degli elettori sulle proprie prospettive lavorative e sul proprio sostentamento?

Il risultato referendario ha messo a dura prova i laburisti divisi tra una leadership che mette la protesta anti-globalista davanti agli interessi del partito e un gruppo parlamentare che sa di dovere delle spiegazioni su come affronterà la globalizzazione nell’interesse pubblico. Ma anche i conservatori al governo sono divisi su come far fronte alla globalizzazione. Qualcuno spera in una libertà globale per tutti, altri pensano che il Regno Unito dovrebbe affrancarsi dai vincoli stranieri e altri ancora, come i laburisti, vorrebbero fare parte dell’Ue, che non vedono come un problema bensì come parte della soluzione per affrontare la globalizzazione. Ma proprio in ragione di quelle divisioni, nessuno di loro ha ancora avanzato una proposta che risponda in modo significativo alle istanze di chi si sente abbandonato. Così il Regno Unito post-referendum ha bisogno di un dibattito più ampio su come affrontare le sfide di un cambiamento globale e su come interagire con la comunità internazionale per farlo. Un programma percorribile per far fronte alla globalizzazione darebbe a ogni Paese la possibilità di bilanciare l’autonomia auspicata con la cooperazione di cui ha bisogno. Questo implicherebbe politiche monetarie e fiscali coordinate tra i Paesi del G20, nuovi sforzi per espandere il commercio mondiale, nuove agende nazionali che affrontino la questione delle diseguaglianze e promuovano la mobilità sociale e un’attenzione alla scienza e alla tecnologia come chiavi di una futura crescita.

Fino a quando la globalizzazione mancherà di una leadership, gli antiglobalisti continueranno a soffocare le riforme, a stroncare accordi commerciali come l’Accordo transatlantico per la liberalizzazione del commercio e degli investimenti (Transatlantic Trade and Investment Partnership, Ttip) e il Partenariato Transpacifico (Trans-Pacific Partnership, Tpp), e a rendere meno aperte le economie nazionali. Ora che deve affrontare una nuova vita al di fuori dell’Ue, il Regno Unito non può ignorare o evitare queste questioni globali. Il Paese dovrà decidere se resistere alla spinta protezionista che ha portato alla Brexit e capire cosa può fare affinché la globalizzazione funzioni per tutti.

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