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Se Angela sceglie l’empatia e non l’odio

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L'Editoriale|FRAGILITÀ TEDESCHE

Se Angela sceglie l’empatia e non l’odio

Se ci bastasse un inquadramento razionale dei fatti di sangue, potremmo dire che nel 2003, in questi stessi mesi, morirono in Germania per un'ondata di calore non nove persone, come nella sparatoria di Monaco, ma novemila.
Come il terrorismo, anche il cambiamento climatico modifica la nostra vita quotidiana, ma non c'è modo che un paragone tra numeri tanto diversi ridimensioni lo sconforto e il disorientamento provocato dal sangue sulle nostre strade.
L'impatto emotivo di una serie di attacchi deliberati a individui innocenti si ripercuote sul nostro senso di giustizia, sulla nostra idea di comunità e infine su noi stessi. Inevitabilmente questi eventi tragici richiedono una risposta non fredda, bensì appassionata, da parte dei poteri pubblici.
La vediamo, più o meno coscientemente, in queste ore in modo del tutto diverso in Europa: mentre la Francia risponde con l'esercito per le strade, con la chiusura delle frontiere e con un lungo stato d'emergenza, la Germania sta rispondendo in tutt'altro modo.

La cancelliera Angela Merkel ha usato toni empatici, sottolineando la solidarietà che è scattata subito tra le strade di Monaco mentre l'attacco era ancora in corso, con i palazzi pubblici, le case private, le Chiese e le Moschee che aprivano i loro portoni. Anche il linguaggio era diverso, mentre Hollande prometteva la «guerra al terrorismo», Merkel parlava di «fermare la violenza». Mentre la politica francese si divideva, quella tedesca isolava le voci più estreme che avevano chiesto leggi di emergenza, mobilitazione permanente dell'esercito ed espulsioni di massa degli islamici. L'attentatore di Monaco era un 18enne razzista iraniano-tedesco che aveva come modello un nazista norvegese che aveva commesso una strage per difendere l'Occidente dall'islamizzazione.

Soffriva di depressione come il pilota della Lufthansa che era volato contro una montagna francese uccidendo i suoi passeggeri. Depressione e tendenze suicide caratterizzano anche gli altri giovani autori di crimini negli ultimi giorni, tra cui l’unico con motivazioni religiose è il suicida di Ansbach. Dalle prime notizie si tratta di individui solitari, privi di affetti familiari ed amicali, non particolarmente aggressivi o impulsivi, che si sentono costantemente malati, isolati o derisi per le loro esistenze fallimentari. Soggetti a psicopatologie schizoidi e narcisiste a cui non è parso che restasse altro che la grandiosità di una fine maligna.
È probabile che la società di oggi, in cui ogni individuo è solo e al tempo stesso iperconnesso, accentui un disagio che in Germania negli anni passati si era già tragicamente espresso con la strage di Erfurt. Un tedesco su cinque si sente straniero nella propria terra e ciò vale più che mai nei Laender orientali dove ci sono pochissimi stranieri e vita comunitaria. Ma l’immigrazione e l’associazione del fenomeno con la minaccia terroristica alimentata dalla propaganda dell’Isis, diventano su entrambi i lati – degli attentatori e della società che li osserva – ragioni di furia e vendetta. Per queste ragioni è tanto importante usare un linguaggio non incendiario.

La cancelliera si trova in una situazione straordinariamente delicata. Le rilevazioni che in questo momento sono sulla sua scrivania indicano che il 70% dei tedeschi associa l’immigrazione al terrorismo. Solo un anno fa, Merkel aveva invitato tutti i siriani a raggiungere il suo paese. Anche chi scrive, che ne aveva apprezzato il coraggio, deve riconoscere che fu una mossa mal preparata e peggio condotta. Solo dieci giorni prima, la Cancelliera aveva visto le stime sul declino della popolazione tedesca con un rischio di dimezzamento della forza lavoro indigena nel giro di una generazione. Sappiamo quello che è successo dopo l’apertura dei confini. Dopo la notte di Colonia e le molestie di massa i consensi per il governo erano crollati. Per la prima volta nella storia tedesca, i partiti della Grande Coalizione erano scesi sotto il 50% delle intenzioni di voto. Solo nelle ultime settimane Merkel aveva recuperato quasi interamente
i consensi perduti.

L’attacco di Monaco rimette ora in dubbio la fiducia dei tedeschi nella linea della cancelliera. Ci sono dubbi anche sulle capacità tecniche di contrastare le minacce. Lo stato della cooperazione europea tra gli Stati e la capacità di sviluppare una comune politica di sicurezza non sono confortanti. Merkel come leader più influente d’Europa ne porta responsabilità, avendo gestito in modo non cooperativo la crisi dei rifugiati siriani e la trattativa con la Turchia. Inoltre, per quanto i politici tedeschi abbiano lodato le forze di polizia, sono passate ben due ore e mezza tra la carneficina e il suicidio dell’attentatore. Così come è stato evidente a Nizza, le nostre società non sono preparate ad affrontare le nuove minacce. Non siamo abituati soprattutto a prevenirle, perché ciò richiede uno straordinario intervento non solo sulle infrastrutture elettroniche, ma sul territorio innervato di solitudini attratte da messaggi violenti che pensavamo di risolvere con la promessa di benessere crescente delle società aperte. Ora questa promessa non è più creduta, vista la cattiva gestione della crisi economica in Europa per la quale ancora una volta la cancelliera porta serie responsabilità. Infine lo sfibramento della società è un allettante invito per i nuovi demagoghi che promettono pugno di ferro.

Angela Merkel sembra scommettere sul fatto che i suoi concittadini abbiano invece bisogno di empatia, non di odio. Sembra averlo capito e, va riconosciuto, anche buona parte della classe politica tedesca, anche di opposizione, e una buona parte dei media. Helmut Kohl parlava della psicologia del suo paese come di una crosta fragile, sotto la quale sembrava agitarsi quella che Walther Rathenau avrebbe definito la feroce «orda asiatica delle piane sabbiose della Prussia». Quella stessa orda si sta manifestando in forme diverse in tutti i paesi d’Europa. Invocare la guerra come rimedio al sangue è un atto di ultima disperazione, mentre costruire sicurezza e al tempo stesso mostrare umanità – davvero significativo che sia una leader femminile a farsene portatrice - è l’unico messaggio che può dare un po’ di speranza anche ai giovani che rischiano di farsi ingannare dalla virilità della violenza.

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