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Il patrimonio intangibile dell’Europa

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Il patrimonio intangibile dell’Europa

Ripartire dalla cultura come bene comune e come condivisione (inclusione): è questo il messaggio forte che arriva dalla mozione per la risoluzione Safeguarding and enhancing Europe’s Intangible Cultural Heritage e dallo stesso progetto #DiCultHer (consultazione pubblica http://diculther.today/), al cui network aderiscono oltre sessanta organizzazioni culturali italiane, ventisei atenei, istituzioni culturali, Enti di ricerca e imprese. Un’iniziativa che appare quanto mai significativa proprio in un momento storico come questo, in cui il modello e il progetto di Europa sviluppati mostrano preoccupanti segnali di debolezza e di incertezza, soprattutto dal punto di vista dell’identità e della costruzione di una comunità aperta delle nazioni.

L’Europa, segnata, da tempo, da una profonda crisi non soltanto economica, inizia a prendere finalmente consapevolezza che la questione è culturale e che bisogna ripartire dal “fattore culturale” per tentare finalmente di costruire un senso di appartenenza ad una comunità aperta e inclusiva che sappia, non soltanto adattarsi, ma gestire il cambiamento e i conflitti, l’evoluzione tecnologica e culturale. L’iniziativa #DiCultHer e la mozione per la risoluzione dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa si inquadrano perfettamente in questo tentativo di ripensare/ricostruire un modello di Europa aperta e inclusiva, nel quale le identità e le culture si rivelino, non elementi di ancoraggio ad una tradizione sterile che produce chiusure e autoreferenzialità (muri vs. ponti), bensì “strumenti” complessi per affrontare un’evoluzione sociale e culturale senza precedenti, ulteriormente segnata dalla rivoluzione digitale e dalla cosiddetta economia della condivisione.

Pertanto, l’idea di preservare, promuovere e condividere il “patrimonio culturale intangibile” rimette sostanzialmente al centro del “progetto Europa” il cambiamento culturale, il fattore culturale, l’idea di un “nuovo umanesimo” e di un “rinascimento digitale” che, per avere qualche possibilità di concretizzarsi, devono incontrare le condizioni culturali e di contesto che modifichino la percezione individuale e collettiva rispetto al valore assoluto della cultura, al suo essere “bene comune” e dispositivo fondamentale di coesione sociale. Servono politiche condivise e progettate in una prospettiva sistemica, all’interno delle quali scuola e università devono rivestire un ruolo ed una funzione assolutamente strategiche.

La costruzione dello Spazio Europeo della Cultura, anche in vista dell’Anno Europeo dedicato alla Cultura (2018), richiede elevati livelli di conoscenza, nuovi profili e competenze, saperi condivisi, organizzazioni e sistemi sociali aperti, nuove culture organizzative e della comunicazione, comunità inclusive e aperte al dialogo; diventano così ancor più strategiche istruzione ed educazione che devono essere ripensate per le sfide dell’ipercomplessità, andando le “false dicotomie”: formazione umanistica vs. formazione scientifica; teoria vs. ricerca/pratica; complessità vs. iperspecializzazione dei saperi; conoscenze vs. competenze etc. Da questo punto di vista, innescare il cambiamento e gestire la complessità dei processi di innovazione significa, in primo luogo, ripensare la nostra Scuola e la nostra Università, tuttora ingabbiate dentro logiche di separazione che sono logiche di controllo e di reclusione dei saperi negli stretti confini di discipline isolate tra loro. Questioni e variabili strutturali che, se non corrette, sono destinate a mantenerci in una condizione di perenne ritardo culturale rispetto alle accelerazioni indotte dall’innovazione tecnologica: peraltro, ciò contribuisce a rafforzare la percezione e la credenza diffusa di una “doppia velocità” di tecnologia e cultura, come se la tecnica e le tecnologie fossero un qualcosa di esterno alla cultura ed ai contesti storico-culturali che le hanno prodotte e sviluppate.

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