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Dolore a Cracovia, speranza a Montegiordano

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Scenari

Dolore a Cracovia, speranza a Montegiordano

Impresa davvero difficile quella di vivere la realtà e di starvi dentro senza lasciarsi schiacciare da essa e senza perdere l’equilibrio necessario per assaporare tutto quello che essa è in grado di consegnarci. In questi ultimi giorni la realtà mi ha messo a contatto con due esperienze.

La Giornata mondiale dei giovani a Cracovia e la permanenza in Calabria dei bambini romeni accolti dalla «Fondazione Bambini in Emergenza». Della prima ho già scritto lo scorso sabato; un’esperienza straordinaria che ha visto centinaia di migliaia di giovani ritrovarsi tra di loro e intorno a papa Francesco per confermare la loro fede entusiasta in Gesù e la loro voglia di protagonismo in un mondo che ama pensarli più come il “futuro” che come il “presente” della società e che, proprio per questo, finisce per negare o ritardare in maniera insopportabile la realizzazione del loro futuro. Di questi giovani straordinari ed entusiasti faceva parte Susanna Rufi, la ragazza romana deceduta improvvisamente lunedì mattina a Vienna durante il viaggio di ritorno da Cracovia. Dopo il decesso di Anna Maria Jacobini, la giornalista trovata morta nella sua camera di albergo nei giorni della GMG, un altro evento emotivamente devastante ha chiamato tutti a fare i conti con la realtà. La GMG per me sono state anche queste due morti e tutto ciò che ne è seguito. La GMG è stata per me lo strazio inconsolabile dei colleghi e dei familiari di Anna Maria e il dramma vissuto dai compagni di viaggio di Susanna e più ancora quello dei suoi genitori. Con i colleghi di Anna Maria ho vissuto le ore immediatamente successive alla constatazione della sua morte e la grande fatica che questi hanno fatto sia per accettare quello che stava davanti ai loro occhi sia per decidere come continuare il loro lavoro rispettando, onorando e valorizzando la professionalità della collega. Stare con loro in quelle ore mi ha commosso ed edificato. Commosso per l’amicizia che traspariva dalle loro parole e dalle loro lacrime; edificato per la capacità di coniugare insieme professionalità e rispetto per la memoria della collega. La morte di Susanna, una ragazza molto impegnata nella Parrocchia romana di San Policarpo, ha fatto drammatica irruzione sull’esperienza di Cracovia ed ha messo a dura prova tutti, dagli operatori agli addetti alla comunicazione. Il modo in cui è stato vissuto il dramma dalle persone più vicine a Susanna - a partire dalle parole del parroco - mi ha aiutato, per quanto è possibile, a elaborare l’imprevedibile violenza dell’evento: «Susanna ha deciso di continuare il suo pellegrinaggio, ma stavolta per sbarcare alla Porta Santa dell’abbraccio benedicente del Padre».

Da Cracovia ho raggiunto Montegiordano, una località della Calabria. Sono arrivato nel paesino, in Diocesi di Cassano all’Jonio, per partecipare al soggiorno di un gruppo di bimbi romeni accolti dalla Fondazione Bambini in Emergenza, costituita nel 1996 dal noto giornalista e conduttore televisivo Mino Damato. La mia amicizia con Mino risale al 2006 quando, ancora parroco in Cerignola (FG), decisi di destinare un cospicuo lascito ricevuto dai coniugi Porta-Molvich alla Fondazione Bambini in Emergenza. Ebbi così modo di visitare i due padiglioni dell’Ospedale di Malattie Infettive Victor Babes di Bucarest che Mino ristrutturò tra il 1995 e il 1996 dopo avervi incontrato nel 1990 la piccola Andreea, che poi decise di adottare. A seguire, visitai il Centro Pilota Andreea Damato - dedicato alla figlia adottiva scomparsa prematuramente nel 1996 - aperto nel 1997 per rispondere all’emergenza di centinaia di migliaia di bambini abbandonati e infettati colpevolmente con il virus dell’HIV alla fine degli anni 80 sotto il regime di Ceausescu. Dal 2010, dopo la scomparsa di Mino, al timone della Fondazione Bambini in Emergenza c’è Silvia, la moglie di Mino, affiancata da uno staff di primissimo livello, che con passione e determinazione porta avanti i sogni e i progetti del marito. Oggi il Centro ospita 16 bambini mentre altri 14, sempre in affido alla Fondazione, sono stati negli ultimi tre anni re-inseriti in famiglia attraverso il progetto Una Mamma anche per Me. Il punto di forza del progetto iniziato e realizzato da Mino Damato sta proprio nell’accogliere questi bambini, aiutarli a recuperare la loro voglia di vivere e trovare per loro quella famiglia che li ha abbandonati. Dall’anno scorso, è stato deciso di invitare in vacanza anche le famiglie dei bambini reintegrati affinché il soggiorno calabrese potesse diventare un punto di re-incontro tra i bambini ancora ospiti del Centro Pilota e i bimbi già trasferiti in famiglia.

Ad accogliermi al mio arrivo, a Montegiordano, l’abbraccio e il “Buna ziua, Ecelenza (sic)!” della piccola Mirela, sopravvissuta a due abbandoni e a violenze in famiglia. Con la sua una nuova mamma Mirela ha scoperto cosa voglia dire essere amati senza condizioni e condizionamenti. Dietro la spalla di Mirela, fa capolino Teodora, bimba focomelica la cui eccezionale forza di volontà le ha permesso di imparare a fare tutto, nonostante l’handicap fisico, persino ad andare in bicicletta senza rotelle. Da quando è in famiglia Teodora è guarita da una iperattività che le aveva reso molto difficile l’apprendimento a scuola e dalla mancanza di fiducia nel prossimo. La sua nuova mamma è riuscita a fare con Teodora ciò che la vita non le aveva consentito di fare con la figlia naturale, persa prematuramente per Aids, contratto durante il regime a causa di un partita di vaccini contaminati con il virus dell’HIV. E poi tutti gli altri bimbi con i loro occhioni curiosi e sorridenti, ognuno dei quali, uno dopo l’altro, vuole stringermi la mano o darmi una carezza, mentre le mamme mi portano un piccolo pensiero dalla loro Romania. Mamma Nicoleta con i gesti e qualche parola di italiano che ha imparato mi fa capire che la sua vita ha acquistato un nuovo sapore, addirittura un nuovo senso con l’arrivo nella loro famiglia di uno dei bimbi della Fondazione, divenuto a tutti gli effetti un figlio (che si è aggiunto a quello che già ha) su cui riversare quotidianamente amore e benevoli attenzioni e a cui dare quella chance mancata nel momento in cui è stato abbandonato dalla mamma naturale nel reparto maternità a poche ore dalla nascita. A debita distanza rimane Mihaela, la più piccola della compagnia, 14 mesi appena compiuti, che già si muove con disinvoltura nelle sue scarpine rosa, che mi osserva incuriosita, attentissima a ciò che sta accadendo. Ed è forse guardando Mihaela che più clamorosa mi appare l’assurdità dell’abbandono. Come può una mamma rinunciare a una creatura così dolce e bella?

Mihaela è solo uno tra i più di 10.000 bimbi abbandonati ogni anno in Romania, in un Paese in cui l’ adozione internazionale non esiste mentre l’ adozione nazionale è insignificante e di gran lunga lontana dall’essere risolutiva del problema dell’abbandono. Del gruppo di “vacanzieri” fanno parte anche i minori non accompagnati, gli operatori e i volontari della “Comunità educativa san Francesco” di Cerignola. Un’altra realtà alla quale mi sento molto legato perché impegnata anch’essa a creare condizioni di vita, per quanto è possibile, serena a bambini e ragazzi con difficoltà familiari piuttosto accentuate. L’aria che ho respirato qui, a Montegiordano, è di quelle che ti costringono a mettere le cose al posto giusto, senza banalizzarle. É l’aria che ti permette di guardare alle tante difficoltà che riempiono la vita personale e le pagine della cronaca senza cedere allo scoraggiamento e alla disperazione. Perché non c’è da disperarsi finché ci saranno persone – e sono davvero tante, che alle chiacchiere in libertà sui …“grandi temi” e ai giudizi senza appello, espressi con volgarità anche verbali e amplificati dai social, su fatti e persone - scelgono di vivere a stretto contatto con i bimbi mangiando, dormendo e giocando con loro, in una simbiosi che genererà giorno dopo giorno un legame duraturo capace di scavallare l’inverno e arrivare fino alla prossima estate. La realtà è anche questa.

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