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I confini inesplorati della politica monetaria

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L'Analisi|l’analisi

I confini inesplorati della politica monetaria

Quando finirà? Le grandi banche centrali continuano a varare programmi di stimolo monetario sempre più intensi (pur scontentando a volte i mercati finanziari, che vogliono ormai sempre di più).
La Bank of England, che diversi mesi fa sembrava destinata a una cauta stretta sui tassi, ieri ha varato un nuovo pacchetto espansivo - preventivo perché fondato sulle proiezioni e non ancora su dati concreti - per contrastare gli effetti del Brexit ottenendo una flessione della sterlina (moneta molto importante per l’euro), lanciando tra l’altro un nuovo programma diretto alle banche.

Quella britannica può sembrare - e in grandissima parte è - una situazione straordinaria, uno shock esogeno legato a una decisione politica: il voto al referendum sulla Ue. Solo pochi giorni fa, però, il Giappone - reduce da tre anni di Abenomics, senza grandi risultati, e da trent’anni di lotta alla deflazione - ha di nuovo premuto sull’acceleratore della politica fiscale e di quella monetaria; la Nippon Ginko, in particolare, ha aumentato gli acquisti di indici azionari e incrementato il programma di sostegno alle aziende locali. In questo caso, di straordinario c’è solo la mancata risposta dell’economia - crescita, inflazione, cambio - al maxistimolo fiscale e monetario.

La Banca centrale europea, intanto, è ferma e a settembre potrebbe decidere di non fare ancora nulla: le ricadute del Brexit non si sono materializzate. L’inflazione è però molto lenta, l’atteso effetto del rialzo (dai minimi) del petrolio potrebbe ritardare e la crescita non è certo soddisfacente, anche tenuto conto del livello dei debiti pubblici e privati. Si discute già, allora, se la Bce potrà davvero - e come, all’improvviso? - sospendere gli acquisti di titoli a marzo 2017... Solo la Fed sembra orientata alla stretta, ma con tanta prudenza: l’economia non è brillante come un tempo.

Cautela, e persino riluttanza a svelare le proprie carte e a plasmare bene le aspettative di inflazione si nota in realtà anche in Eurolandia e in Giappone. Da Tokyo i mercati si aspettavano addirittura una forma debole di helicopter money, una politica di finanziamento diretto del governo da parte della banca centrale, ma sono rimasti delusi. La possibile conseguenza è che gli sforzi della Nippon Ginko potrebbero di nuovo
rivelarsi vani.

La cautela sembra dimostrare che la politica monetaria è davvero in trappola. Generare aspettative di inflazione elevate è ormai diventato impossibile, Non sarebbero credibile: gli operatori economici sanno bene che ormai gli strumenti a disposizione sono pochi e lo “spazio” per intervenire è molto piccolo. In un certo senso è troppo tardi; bisognava pensarci prima. E se i rendimenti delle nuove misure sono decrescenti potrebbero invece essere ormai in crescita costi e rischi.

In ogni caso, visti gli sforzi, la mancata risposta dell’economia agli stimoli monetari è un mistero. Funziona la politica monetaria?Tanta moneta in circolazione avrebbe dovuto generare molta inflazione e forse qualche bolla. Non sembra che sia così; e se le previsioni delle banche centrali indicano un (lentissimo) riavvicinarsi della dinamica dei prezzi al 2% questo avviene anche perché - come ha di recente ricordato l’ex governatore della Bank of England Mervyn King - i modelli macroeconomici usati sono costruiti in modo da “puntare” comunque nel tempo proprio a quel bersaglio.

Non mancano allora economisti che ipotizzano la sostanziale impotenza della politica monetaria. Non si tratta di outsiders o di radicali. La teoria fiscale del livello dei prezzi - sostenuta dal Nobel Christopher Sims, da Michael Woodford, espertissimo di politica monetaria, da Eric Leeper, noto studioso di politica fiscale e da John Cochrane, non certo amante degli interventi governativi - ipotizza che l’inflazione cresca con l’abbassarsi del valore (attuale) dell’avanzo primario, che a sua volta cala con l’aumento dei tassi (o con la riduzione dell’avanzo stesso). Una corrente di pensiero definita neo-fisheriana - non incompatibile con la teoria fiscale, sostenuta dallo stesso Cochrane e da James Bullard, presidente della Fed di St. Louis - pensa intanto che i tassi di interesse reali siano definiti dall’economia reale, e quelli nominali (e quindi l’inflazione) dalla politica monetaria. La conseguenza delle due teorie è però che tagliando i tassi ufficiali, almeno in alcune situazioni particolari come le attuali, si spinge l’inflazione verso il basso, non verso l’alto.

Sono approcci molto (molto...) controversi, perché controintuitivi. Val la pena, però, di riconsiderarli, oggi che i risultati mancano; e il perché è davvero un enigma.

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