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L’economia «sgonfia» la bolla dell’euforia

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L'Editoriale|L’analisi

L’economia «sgonfia» la bolla dell’euforia

Le sterline non mancano, latitano le certezze. Il paradosso inglese nel giorno della Bank of England svela i limiti degli strumenti monetari per gestire l’impatto di una scelta politica strategica che va molto oltre gli effetti di tassi quasi azzerati e di un massiccio, creativo allentamento quantitativo.

Il governatore Mark Carney ha fatto quello che ha potuto, anche di più del previsto, per fronteggiare la violenta contrazione economica che sospinge la Gran Bretagna verso le paludi delle recessione. Perché quella, sia chiaro, è la direzione che indica la Brexit, capace com’è stata di costringere la Banca d’Inghilterra al più marcato “downgrade” della prospettiva economica degli ultimi vent’anni. Paradossalmente, oggi, per Londra, è però più urgente trovare una bussola di un finanziamento.

Le imprese, per ora, non sembrano soffrire di scarso accesso al credito, i cittadini godono già di tassi rasoterra sui mutui, i giovani trovano lavoro più che nel resto dell’Ue. Il conto alla rovescia è già cominciato, ma un Regno in apnea continua a vivere, oggi 5 agosto, come il 22 di giugno, alla vigilia del “misfatto” europeo. Ma quanto potrà durare l’anestesia del dubbio? Settimane, più che mesi. Mark Carney è stato chiaro nel precisare di voler agire in anticipo sugli eventi, dispiegando stimoli adesso per la crisi in arrivo. Nulla da eccepire, ha svolto e svolgerà il suo compito adeguatamente, ma credere che la Banca centrale possa avere le spalle larghe abbastanza per assorbire un cambio di marcia come quello innescato da Brexit è un’illusione.

La dimostrazione di forza messa in campo dal governatore s’è svelata forza relativa quando egli stesso ha riconosciuto che questo «non è il mondo del 2008 0 del 2009».
Questa è una crisi autoinflitta, figlia di una determinazione politica che scelte avventuristiche hanno affidato a un referendum popolare in un esercizio di machismo tutto interno al partito conservatore. Lo abbiamo già scritto, inutile insistere, ma è inevitabile ricordarlo ora che si guarda a Threadneedle street con la speranza che ci sia il solito bazooka nascosto in qualche cassaforte e capace di trasformarsi in una bacchetta magica. L’unica Grande Bertha, per restare con le metafore belliche, è la scelta politica ed è quella che continua a mancare.

Tutto è stato apparecchiato - ministero per la Brexit compreso – per una lenta transumanza dal mondo di oggi a quello che verrà. Non è tempo per la lentezza, nè continua ad esserci indizio della direzione di marcia che Londra intende adottare. La prima linea dei ministeri esposti al negoziato è affidata a Brexiters d’antan - peraltro divisi anche fra loro sul mondo che dovrebbe venire – mentre dai quartieri vicini alla signora premier emerge l’inclinazione per una trattativa con l’obbiettivo prioritario di restare nel mercato interno di beni e servizi. Anche a costo, forse, di cedere sul cotè della libera circolazione dei cittadini, in quello che si conferma essere il vero trade off della partita anglo-europea.

Nessuna certezza, sia chiaro, solo ipotesi. Da Downing street, sul divorzio da Bruxelles non esce nulla oltre a quel sibillino “Brexit means Brexit” di Theresa May. Escono, invece, e con ritmo incalzante, i lampi di una nuova strategia di governo carica di suggestioni ideologiche. Che dire della proposta di formulare una “politica industriale” per la Gran Bretagna, dopo il funerale che, a colpi di deregulation, Margaret Thatcher celebrò a una strategia controversa? O del pensiero ancor più radicale di “riformare il capitalismo” vagheggiato dall’esecutivo ? Imprese importanti, esercizi intellettuali d’avanguardia e, magari, anche condivisibili. Applicazioni a cui dedicarsi in tempi di noia, inadeguate per gestire un’emergenza che impone concretezza.

L’addio all’Europa è una svolta sufficientemente impegnativa per concedersi il lusso di affascinanti divagazioni sul “conservatorismo sociale”, di stampo democristiano, come quello che Theresa May ha in animo.

C’è un tempo per tutte le cose, ci ricorda l’Ecclesiaste. E questo deve essere il tempo della partita anglo-europea. È urgente perchè il prezzo della destabilizzazione, non solo economica, è troppo elevato per lasciare senza risposte un interrogativo in cerca di certezze. La quinta potenza del pianeta che ruolo intende giocare nel mondo ? È ora di saperlo, per il bene di tutti.

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