Commenti

Vanderlei, il riscatto dello spirito olimpico

  • Abbonati
  • Accedi
Cultura & Società

Vanderlei, il riscatto dello spirito olimpico

Hanno aspettato Pelé fino all’ultimo: e sarebbe stata la scelta perfetta. Gloria nazionale e mondiale, acclamato miglior calciatore di sempre, in quello sport nel quale il Brasile è sempre stato maestro (fino a pochi anni fa), eppure così poco olimpico. E quando O Rey ha dovuto declinare l’invito su “consiglio” medico, ecco che il piano B ha preso forma. Possiamo dirlo? Per fortuna. Perché Pelé era una scelta “facile”, rassicurante. E invece Vanderlei De Lima ultimo tedoforo e propiziatore del fuoco nel più bello dei bracieri olimpici di sempre è l’incarnazione migliore dello spirito olimpico. Lui, e non Guga Kuerten, tennista verdeoro che seppe essere numero uno al mondo. Perché Vanderlei numero uno non lo è mai stato: perse, aggredito a pochi kilometri dalla fine della maratona di Atene, mentre era in testa, da una fanatico religioso, stavolta cattolico.

Lui, il maratoneta (la più nobile ed emblematica delle discipline olimpiche) che vide svanire il sogno a così poco dal traguardo (e mai sapremo se il nostro Stefano Baldini l’avrebbe riacciuffato e superato comunque) di Atene 2004, non si arrese. E continuò. Le immagini del suo ingresso nell’ultima curva del Panathinaiko sono ancora da brividi. Fa l’aeroplanino, manda baci al pubblico che esplode in un boato per lui. È terzo, è bronzo, ma piange di gioia, per sé, per il suo Brasile, per la sua tenacia, per la sua metaforica vicenda: essere arrivati vicino alla vittoria ma vedersela sfuggire per circostanze avverse. Eppure non mollare e credere ancora. Nello sport, nella gioia, nella forza della vita, nel rispetto della propria dignità. La lezione di Vanderlei è il miglior viatico di qualsiasi Olimpiade. Figuriamoci una a casa sua.

© Riproduzione riservata