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Se la confederazione batte la burocrazia

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Se la confederazione batte la burocrazia

Mai come oggi è apparso così lampante lo scarso grado di coesione e ascendente della Ue, tanto più dopo il divorzio della Gran Bretagna e il suo potenziale effetto domino. Al punto che si è giunti a chiedersi se stia dissolvendosi la ragion d’essere della Comunità europea.

S’impone pertanto, se non si vuole che essa finisca per scivolare verso la disintegrazione, l’esigenza di una franca e incisiva riflessione. In primo luogo, va detto che tutti i governi francesi di qualsiasi colorazione non hanno mai condiviso un progetto istituzionale europeo d’impronta federale. Ma non si può dire che la classe politica tedesca fosse del tutto propensa a un assetto di tipo federale. L’idea di una “democrazia sovranazionale”, con tanto di governo centrale responsabile del proprio operato nei riguardi del Parlamento europeo, e con un presidente della Ue eletto direttamente a suffragio universale, era stata lanciata dal ministro degli Esteri e vicecancelliere Joschka Fischer nel 2000. Egli pensava che quest’obiettivo avrebbe potuto venire conseguito attraverso l’azione propulsiva di un gruppo ancorché ristretto di Paesi che facesse da battistrada per poi raccogliere intorno a sé altri partner, man mano questi fossero pronti a perseguire la stessa mèta.

Tuttavia il cancelliere Gerhard Schröder non era personalmente animato dagli stessi ideali del leader dei Verdi e comunque in grado, anche se lo avesse voluto, di assecondare, presso gli esponenti di altri partiti socialdemocratici europei, la prospettiva federalista, in quanto ad essa veniva opposta dalla sinistra un’obiezione di principio: ossia, il fatto che un sistema federale avrebbe dovuto contare su un prerequisito essenziale come un forte sentimento unitario dei popoli europei. Ciò che, per il momento, era lungi dall’essere effettivamente maturato nella coscienza collettiva. Anche per questo ci si aspettava che i vantaggi attribuiti all’avvento dell’euro concorressero ad accreditare e rendere largamente condivisibile la causa europeista.

Probabilmente la Convenzione, incaricata di elaborare entro il 2003 il progetto di una costituzione europea, non sarebbe riuscita, data la contrapposizione fra “massimalisti” e “minimalisti”, ad andare al di là delle formula enunciata all’inizio dei lavori dal presidente Valery Giscard d’Estaing: ossia, un sistema fondato su una duplice legittimità democratica, quella “storica e identitaria derivante dagli Stati nazionali” e quella “continentale o di necessità” (come da lui definita), connessa alle istituzioni europee, in quanto preposte alla gestione di problemi collegiali (come la sicurezza, la politica estera e la giustizia). Si trattava tuttavia di un’ipotesi di lavoro aperta a possibili sviluppi sul versante dell’architettura istituzionale e della governance dell’Europa. Senonché essa cadde dopo che nel maggio 2005 i referendum svoltisi in Francia e in Olanda bocciarono il testo della Costituzione uscito dalla Convenzione.

Da allora non fece strada neppure l’idea di dar vita, nell’ambito di un’Europa allargatasi dal 2004 al alcuni Paesi ex comunisti dell’Est, a un sistema in cui un gruppo di Paesi (attraverso lo strumento delle “cooperazioni rafforzate”) sviluppasse determinate forme di maggiore integrazione sul piano politico e su quello economico-sociale, agendo così da “avanguardia”.

Al punto in cui stanno adesso le cose, al cospetto sia di risorgenti nazionalismi e di tendenze isolazioniste e autarchiche, sia di moti socialpopulisti non solo dell’ultradestra e di un’ondata di euroscetticismo, occorre perciò rafforzare il metodo intergovernativo, ripartendo necessariamente dagli Stati nazionali ma impegnandoli a concertare la propria azione, in sintonia fra loro, su alcuni obiettivi prioritari d’interesse comune: da un deciso rilancio economico contro il ristagno e la disoccupazione; a un autentico coordinamento dei servizi di sicurezza e d’intelligence per una lotta efficace contro il terrorismo; da una gestione omogenea ed equilibrata dei flussi migratori; a una linea di condotta univoca nei negoziati sul trattato di libero scambio con gli Usa.

Non si vede infatti come riportare in carreggiata la Ue, dandole un vigoroso impulso necessario per le emergenze presenti e un’adeguata capacità di visione per le sfide del futuro, se non nel quadro di una robusta Confederazione, non più allentata da deroghe nazionali e appesantita da un apparato burocratico pletorico e invasivo. Nell’ambito della quale i singoli Stati, da un lato, operino al meglio nell’esercizio dei loro compiti a presidio delle istituzioni democratiche; e, dall’altro, collaborino puntualmente in sede comunitaria al raggiungimento degli obiettivi suindicati, a beneficio collettivo dei cittadini europei.

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