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Eurolandia da riequilibrare

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Scenari

Eurolandia da riequilibrare

Francia e Italia sono ferme. La Germania cresce. Si conferma una tendenza preoccupante: i paesi di Eurolandia continuano a divergere.

Italia zero, Francia zero è un risultato preoccupante: basta un passo falso per cadere in recessione. La Germania invece cresce di un +0,4%, frenato ma migliore delle attese; e, insieme a Spagna e Olanda, permette a Eurolandia di realizzare nel trimestre un pil in crescita dello 0,3% trimestrale, che corrisponde a un +1,2% annualizzato, lo stesso, rallentato, ritmo di crescita degli Stati Uniti.

Si potrebbe allora concludere l’analisi della notizia sui pil europei ricordando che il quadro internazionale è ovunque debole, che la frenata era prevista e che i dati di un singolo trimestre, per quanto brutto, non dovrebbero preoccupare.

I numeri di ieri però confermano una tendenza che pesa sul futuro stesso dell’Unione monetaria. Eurolandia non si sta integrando, i suoi paesi membri non convergono.

Non è una sorpresa, in realtà: a metà 2015, uno studio della Banca centrale europea - pubblicato sul suo Bollettino economico - rivelò che «poca convergenza reale ha avuto luogo tra i paesi dell’area euro dopo il lancio» della moneta unica. Anzi ci sono stati alcuni segnali di divergenza (e l’Italia è stato il paese «peggiore», sotto questo punto di vista).

Non sembra che le cose, da allora, siano cambiate. E il problema non è più tanto quello dello squilibrio - di cui molto si parla - tra i paesi in surplus e quelli in deficit nei conti con l’estero. È vero, a leggere i dati del secondo trimestre la Germania sembra contare ancora molto sulla domanda estera - per quanto debole, in questa fase - mentre i suoi cittadini spendono meno di quanto sarebbe ottimale. Andreas Rees di UniCredit invita però a non dare troppa importanza a questo aspetto: «Negli ultimi dieci trimestri - spiega in un nota - le esportazioni nette sono state negative e hanno pesato sulla crescita complessiva in sette occasioni. L’ultimo loro aumento non è quindi la continuazione della tendenza tedesca a spendere poco (o a esportare a spese degli altri paesi), ma soltanto un blip temporaneo. Restate in ascolto...».

Surplus o deficit, resta il fatto che la Germania ha una disoccupazione del 4,2%, la Francia del 9,9% e l’Italia dell’11,5 per cento. Sono distanze enormi, che rendono più gravi i problemi e più difficili le politiche comuni. Non era così, guardando il mercato del lavoro, nel 2008, prima della grande divergenza legata alla crisi. La dispersione si è poi ridotta dal 2013, ma resta ancora elevata, al livello del 2000, quando l’euro - nelle tasche dei cittadini - non c’era ancora.

Il punto è che con l’euro molte cose sarebbero dovute cambiare e non sono cambiate. Non ci sono più scorciatoie monetarie, come la svalutazione (ammesso che funzioni, cosa che non sempre accade). Nulla è nominale (a cominciare dai debiti, anche pubblici...) e tutto è reale. Non sorprende allora se qualcuno vive l’euro come una “gabbia”: l’unione chiede - anche se resta inascoltata - molta più disciplina e molta più competenza a tutti.

L’unica convergenza possibile avviene infatti attraverso un aumento della produttività, che dovrebbe essere più rapido nelle economie più deboli. Le politiche e le strategie aziendali adottate un po’ da tutti dopo il ’99 sono andate invece in una direzione diversa. «Dopo l’introduzione dell’euro - ha spiegato la Bce un anno fa - il capitale è stato sempre più indirizzato verso settori con bassa produttività marginale, e quindi debole produttività, ma rendite elevate»: servizi protetti dalla concorrenza, compresa la distribuzione e le reti. In Italia e Spagna, che avrebbero dovuto fare più di altri, la produttività è rimasta bassa anche nel manifatturiero, segnalando che l’«ambiente» in cui le aziende operavano era, ed è ancora, inadeguato.

Per risolvere questi problemi non servono tanto euro debole, tassi bassi e quantitative easing, né deficit fiscali o i lenti investimenti pubblici (che pure possono essere utili, se queste misure sono ben calibrate e ben scelte). Occorre capitale - tecnologico, umano, organizzativo, sociale - ben allocato e nello stesso tempo occorre rivedere, eventualmente smontare e rimontare, il progetto dell’euro zona, che ha mostrato molti limiti con questa lunga crisi.

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