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Bernabei, Fanfani, Moro e quell’idea della Bibbia

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Italia

Bernabei, Fanfani, Moro e quell’idea della Bibbia

Caro direttore, come mi hai chiesto ti scrivo questo ricordo “da dentro” di Ettore Bernabei, col cuore sereno e la gioia di sapere che il Padre Eterno che tanto amava e cercava, gli ha regalato a 95 anni, una morte tra i figli e gli amici mentre discuteva di cultura, politica e di Dio.
Era preparato da tempo a verificare l'esito della sua scommessa su Dio.

Ricordo che quando andato in pensione dall’Iri a 70 anni, ha iniziato l’avventura della Lux, molti amici erano perplessi. Quasi nessuno dei manager di Stato che prima di lui aveva tentato di diventare imprenditore privato era riuscito. Lo stesso Fanfani, suo amico fraterno, mi confidò tutte le perplessità su questa avventura. Il problema numero uno era: con chi fare la Lux? I suoi nomi di qualità della Rai, nei 15 anni all’Iri erano invecchiati o dispersi. Servivano forze nuove, fresche, motivate perchè le ambizioni erano grandi e globali. Bernabei aveva da subito un sogno enorme: fare venti film internazionali sulla Bibbia scrivendo e producendo insieme a cristiani, ebrei e musulmani. Un’impresa gigantesca e visionaria. Cesare Romiti mi ha raccontato che un giorno lui gli ha confessato di aver cercato dappertutto la persona giusta con cui partire senza trovarla. Poi gli ha detto: «Ce l’ho in casa, è mia figlia Matilde. Non ci avevo pensato». Proprio lui che pensava che le donne dovessero stare a casa e badare ai figli.

Matilde era cresciuta alla scuola di Mario Schimberni alla Montedison ed era stata a 33 anni amministratore delegato del Messaggero. Insomma una giovane creativa e coraggiosa. Abituata fin da piccola per ragioni familiari, a fare anche da vice mamma agli 8 fratelli, e aiutarlo in molte cose.

La Lux è nata così: una figlia che ha deciso di giocarsi la vita per aiutare il padre a realizzare il suo sogno. Hanno vinto. Vinto anche l’Oscar della televisione a Hollywood con uno dei venti film: Giuseppe. Credo che pensare di realizzare venti anni fa la Bibbia con ebrei, musulmani e cristiani insieme volesse dire avere una visione strategica di quali sarebbero stati i problemi del mondo. Ma la visione strategica che diventa fatto concreto, operativo, e soluzione di problemi era nel Dna naturale di Ettore Bernabei. Allevato alla scuola visionaria e profetica di Giorgio La Pira. La Lux poi è diventata quello che è oggi e che tutti conosciamo: una macchina di produzione di successi a getto continuo guidata nel tempo oltre che da Ettore e Matilde anche dal fratello Luca che dopo esperienze pubblicitarie è andato ad aggiungersi alla coppia formando un terzetto affiatato con ruoli e competenze diverse.

Il Bernabei della Lux ha continuato a fare quello che ha sempre fatto: scegliere persone spesso migliori di lui senza paura. Cercando saperi e conoscenze dovunque fossero. Nel tempo ha imparato a gestire la sua irruenza e il suo carattere anche iroso ma mai cattivo. Sempre pronto a chiedere scusa e a dire grazie. È stato un altro uomo ancora con i nipoti. Attento sensibile e presente. Mia figlia Giulia non è riuscita a realizzare il documentario su di lui a cui lavorava, si rifarà con l’archivio, ha già visto tutte le lettere che si scambiavano con La Pira ma anche quelle tra Bernabei e Mattei, il fondatore dell’Eni, protagonisti di quel “miracolo italiano” che Bernabei non ha mai considerato tale ma solo il successo di un progetto preciso realizzato da politici e manager che avevano chiaro l’obiettivo da raggiungere: fare grande l’Italia. Farla crescere con un modello industriale e sociale originale che vedeva pubblico e privato uniti insieme per realizzare uno sviluppo equo e solidale. Ci ha creduto e l’ha perseguito fino in fondo insieme alla sua generazione. Molti in questi giorni parlano di Fanfani e Bernabei come di due facce della stessa medaglia, ma Bernabei è stato sempre anche l’uomo raccordo tra Fanfani e Moro, i due cavalli di razza della Dc. Bernabei era “uomo di fiducia” per entrambi e durante il rapimento Moro fu casa di Bernabei il luogo di incontri riservati tra Fanfani, Craxi e Martelli per immaginare strategie di un’impossibile salvezza.

I ricordi sono infiniti, le emozioni anche, ma la prima lezione di che cosa doveva essere l’etica di un uomo del servizio pubblico l’ho avuta a Santo Stefano a casa sua. Quando, in un giorno di sole bellissimo, mi disse «Giovanni, piove. Lo vedi?» di fronte al mio stupore aggiunse «questa è la Tv, se dici che piove anche se c’è il sole tutti pensano che sta per piovere perché l’ha detto la televisione. Capito cosa vuol dire parlare in televisione? Ci vuole un rispetto assoluto del telespettatore perché come dicevano i latini nomina sunt consequentia rerum, cioè tra le cose che si dicono e i fatti deve esserci una relazione diretta e di verità perché lì c’è l’etica del racconto e di chi lo fa». È stato il primo insegnamento di Ettore Bernabei, l’uomo con il quale ho avuto il privilegio di potermi confrontare sul mio lavoro e su tutte le vicende politiche e umane della nostra vita. Se chiamavi c’era sempre e faceva sentire unico ognuno dei suoi interlocutori. Le opinioni diverse, molte, le abbiamo sempre rispettate, confrontate senza che lui invadesse mai la mia vita privata. Come suocero è stato un grande stimolo e un fantastico interlocutore. Della sua televisione hanno parlato tanti e su tutti Furio Colombo in modo mirabile, dei suoi quindici anni all’Iri Romano Prodi mi ha sempre ricordato la sensibilità e l’intelligenza strategica delle scelte. Gli ho sempre dato del lei, per tutta la vita. Non mi ha mai chiesto di non farlo, né io l’avrei voluto, ho scoperto così anche il valore di una relazione contemporaneamente distante e intima, una scoperta che consiglio. Ciao Ettore.

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