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Non basta il piccolo Omran per salvare Aleppo

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Scenari

Non basta il piccolo Omran per salvare Aleppo

Dopo Alan Kurdi su una spiaggia curda, Omran Daqneesh innocentemente stupito in mezzo alle macerie di Aleppo: fra l’uno e l’altro, migliaia di altri bambini che non sono stati fotografati né filmati. Dalla tragedia alla retorica niente, nemmeno la pietà, riuscirà a fermare il massacro della città siriana. Per farlo, per fermare qualcosa che sembra ineluttabile, noi dovremmo mobilitarci come non possiamo né vogliamo; russi e americani cancellare la loro disputa senza fine; le piccole potenze locali dovrebbero parlarsi con umiltà e i siriani – regime e milizie avversarie – guardarsi negli occhi. Ma tutto questo non può accadere. La scorza del conflitto è troppo dura per essere penetrata dallo sguardo di Omran.

Di fronte alla Grande Incomprensione di tanta follia neanche papa Francesco riesce a evitare del tutto la retorica, parlando di terza guerra mondiale. Un pontefice polacco o tedesco non avrebbe mai fatto simili paragoni: a loro sarebbe stato molto chiaro cosa sia una guerra mondiale, e quanto di peggio settant’anni fa noi europei abbiamo fatto ai nostri Alan e Omran, milioni, non migliaia.

L’affermazione più scontata del nostro orrore è, come sempre: «Dobbiamo fermare la tragedia!». Gli italiani che credono di poter realizzare questo imperativo, sono pronti a far partire la Folgore, il San Marco, la brigata Sassari e altre migliaia di donne e uomini per la Siria? Siamo pronti ad acquistare i famosi F-35 e cambiare radicalmente le nostre tradizionali regole d’ingaggio in zone di guerra per liberare donne e bambini dall’inferno di Aleppo che segue quello di Homs, di Sebrenica, Sarajevo, Beirut, Saigon, Varsavia? (L’elenco è quasi senza fine). Evidentemente no. La soluzione è politica!, aggiungiamo tutti.

«Con chiunque io tratti, mi sento sempre dire che non c’è una soluzione militare», diceva qualche giorno fa Staffan de Mistura, l’ex vice ministro degli Esteri italiano, ora negoziatore Onu del conflitto siriano. «Il risultato? Guardate Aleppo: c’è stato un attacco, un contrattacco e chi paga il prezzo è la popolazione civile. Questo è l’aspetto più cinico del conflitto».

Ecco perché la battaglia di Aleppo non può essere fermata. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è stato creato per mettere le guerre sotto un grande riflettore universale, non per risolverle. Il sistema dei veti, dei voti e delle alleanze esiste perché il potere di decidere resti nelle mani dei combattenti e dei loro padrini. Fra luci e ombre, russi e americani stanno collaborando. Ma al Consiglio di sicurezza di New York non c’è nulla che riguardi la Siria, su cui siano d’accordo.

Nel suo quartier generale di Ginevra, de Mistura è riuscito a mettere insieme russi e americani, militari ed esperti, che insieme organizzano gli aiuti umanitari, a volte riescono a imporre cessate il fuoco, sfruttano le tregue per soccorrere i feriti. Fuori di lì le cose sono quelle che conosciamo: non c’è soluzione militare, dicono tutti, ma si combatte e si arma chi combatte. Sfiora il ridicolo l’offerta russa di una tregua di 48 ore a partire dalla settimana prossima. Come se ad Aleppo ci fosse tempo, come se nelle feste comandate i piccoli Omran potessero giocare nei giardini della città.

I russi non vogliono liberare tutta la Siria per conto di Bashar Assad, sanno che sarebbe militarmente troppo dispendioso: il loro obiettivo è garantire al regime il controllo della costa e delle grandi città: Damasco, Homs, Latakia e ora Aleppo (Raqqa e l’Isis sono un’altra storia, un altro capitolo, quasi un altro conflitto). Per questo la stanno bombardando. Almeno su Aleppo, gli americani non hanno le idee chiarissime: continuano a non sapere se l’aiuto ai ribelli sia anche un aiuto agli islamisti radicali; se Jabat al Nusra abbia cambiato solo il nome o se davvero non sono più qaedisti.

Ma prima di tutti ci sono i veri protagonisti del conflitto: i siriani e le potenze regionali. Sono loro ad essere andati troppo avanti nel massacro e nell’odio che il sangue coltiva, per potersi fermare e trattare. Come dal primo giorno, per loro la guerra civile continua ad essere un gioco a somma zero: io vinco, tu perdi. Niente compromessi. Un tempo, quando morivano troppi bambini, quando il massacro non era sopportabile, americani e sovietici moderavano i loro clientes, dopo averli armati e aizzati. Oggi questo potere non l’hanno più, nemmeno Putin. Con la sua aviazione il presidente russo può impedire a Bashar Assad di perdere ma non può obbligarlo a fermarsi e trattare. Gli americani hanno forse dubbi ancora più forti sulla vera identità delle milizie che si oppongono al regime. Si fidano solo dei curdi, formidabili combattenti ma un ostacolo per una soluzione negoziata del caos siriano.

Intanto ad Aleppo altri Omran Daqneesh moriranno o non avranno la fortuna di essere filmati nel loro pietoso stordimento. Come era già accaduto anche a Homs, dove il massacro è terminato solo nel 2014 ma per un cessate il fuoco che potrebbe saltare, in città ci sono tutti: regime, opposizioni laiche e religiose, curdi, qaedisti, Isis e spie di tutti i Paesi. Per questo ad Aleppo si continuerà a morire e a ignorare la nostra retorica della pietà.

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