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Valori condivisi per sconfiggere l’Isis

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Valori condivisi per sconfiggere l’Isis

Dopo gli attentati terroristici a Parigi del novembre scorso c’è stato immenso dolore, c’è stata paura, ma è emerso anche un sentimento di unità e di resilienza. Al contrario, da quando è avvenuto il massacro di Nizza nel giorno della presa della Bastiglia i sentimenti predominanti paiono essere l’impotenza e la rabbia.

I francesi adesso sono scoraggiati e preoccupati. Vogliono tornare a sentirsi al sicuro, costi quel che costi. Questi sentimenti sono del tutto comprensibili, ma non necessariamente contribuiscono a un effettivo processo decisionale.

Il problema sta in quella espressione: “costi quello che costi”. Qualora la popolazione avesse la sensazione che la sua classe dirigente non riesce a proteggerla, potrebbe rivolgersi ad alternative più radicali. Già adesso i partiti politici populisti o espressamente razzisti stanno guadagnando terreno, in Francia come ovunque. Sollecitata da simili forze, la popolazione potrebbe addirittura decidere di farsi giustizia da sola.

Le autorità tuttavia hanno già molta carne al fuoco. Cercano di proteggere la popolazione dagli attentati terroristici pur continuando a rispettare la legalità e, tutto sommato, si tratta di un compito assai gravoso. Ci sono individui, in particolare quelli affetti da disturbi mentali o che sono genericamente attratti dalla violenza, che possono radicalizzarsi in un breve lasso di tempo, come è avvenuto nel caso dell’attentatore di Nizza. Alcuni, prima di perpetrare un attentato devastante, hanno la fedina penale pulita, non hanno mai allacciato rapporti concreti con i gruppi terroristici. E, tenuto conto di ciò, le autorità francesi non possono garantire che non si verificheranno ulteriori attentati.

Tutto ciò non vuol dire che le autorità dovrebbero essere spinte a incrementare le loro tattiche di prevenzione e di reazione alle minacce. C’è moltissimo che si può e si deve fare per rafforzare la sicurezza in Francia e altrove. Ma l’ultimatum al quale sembrano voler cedere adesso molti francesi implicitamente – garantiteci l’assoluta sicurezza oppure ci vedrete mettere in disparte la legalità e i nostri principi fondamentali di apertura e uguaglianza – fa più male che bene.

I francesi, come ogni altro popolo, meritano di sentirsi al sicuro quando passeggiano per strada, cenano in un ristorante, si godono un concerto o celebrano una festa nazionale. La vera domanda, quindi, è come ristabilire quella sensazione di sicurezza proprio quando il rischio di un attentato terroristico non può essere eliminato del tutto.

La risposta a questo interrogativo va pretesa dalla società civile. I normali cittadini dovrebbero diventare più vigili e attenti ai segnali di radicalizzazione e dovrebbero sapere come reagire. Ognuno dovrebbe sentirsi incoraggiato a denunciare alle autorità competenti, che si tratti di professionisti in ambito psichiatrico o delle forze dell’ordine, la possibile radicalizzazione di quanti hanno attorno.

Naturalmente, la Francia non è sul punto di precipitare nel caos, né i vigilantes hanno la tentazione di mettersi a dare in proprio la caccia ai terroristi. Tuttavia, l’incessante allarmismo propagato dai populisti, unitamente alle effettive traumatizzanti tragiche esperienze della violenza, sta minando la capacità della popolazione di riflettere, e sta determinando una caduta in una generica retorica incandescente. Poiché all’orizzonte della prossima primavera si profilano le elezioni per la presidenza, nei politici con un forte interesse personale in gioco c’è un palese incentivo a strumentalizzare le vittime di Nizza e a usarle nell’ambito della loro strategia elettorale.

Una cosa del genere è inammissibile. Se alla fine i francesi soccomberanno alla paura, eleggendo fanatici populisti, lo Stato Islamico (Isis) attualmente in difficoltà avrà conseguito una grande vittoria, tale da poter teoricamente rovesciare le sorti della situazione.

Sia ben chiaro: malgrado ciò che affermano i populisti, l’Isis sta davvero perdendo. Il suo territorio è a rischio, e sta sfumando il sogno di un nuovo califfato che occupi tutto il mondo arabo. Ma l’Isis dispone di una strategia di ultima istanza per puntellarsi e resistere: il reclutamento rapido. E tale impresa potrebbe ricevere uno slancio non indifferente dall’ulteriore escalation della retorica anti-musulmana o, peggio, dall’elezione di coloro che vorrebbero trasformare questa retorica in politica.

I reclutatori dell’Isis stanno già ora mietendo successi, anche se il gruppo perde il controllo delle città e delle province in Siria in Iraq. Da Orlando a Istanbul a Dacca, l’Isis ha trovato numerosi sostenitori impazienti di uccidere nel suo nome. Di recente, due attentatori suicidi affiliati al movimento si sono fatti esplodere nel corso di una manifestazione pacifica a Kabul, sterminando 80 persone e ferendone oltre 200.

Finché il “nemico” in Occidente resterà unito e legato da principi e valori comuni, l’Isis non potrà uscirne vittorioso. Per la Francia e altri Paesi, la soluzione sia in patria sia all’estero sta in un’azione comune che necessiterà di migliori rapporti tra le agenzie della sicurezza interna ed esterna, e di una più ampia consapevolezza dei rischi all’interno della società civile, seguendo un po’ le linee di Israele. Se a ciò si aggiungono i continui bombardamenti contro i rifugi del movimento, il sogno del califfato è destinato a dissolversi presto.

È già orribile che i terroristi vogliano toglierci la vita: l’ultima cosa che ci serve è che i populisti ci tolgano l’anima. Riconquistare il controllo sulle nostre vite e sui nostri destini significa essere realisti. Invece di implorare il ritorno a un’epoca pre-terrorismo, dovremmo diventare più vigili nei confronti dei rischi che il terrorismo comporta, non soltanto per la nostra salvezza, ma anche per quella dei nostri valori e per la nostra continua adesione alla legalità. E dovremmo fare la nostra parte per ridurre quei rischi al minimo.

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