La chiamata di Roberto Napoletano mi raggiunge sul cellulare mentre sono sulla riva del Lago di Galilea con un gruppo di pellegrini in gran parte della diocesi a me affidata, mentre stiamo facendo memoria del nostro battesimo e ci stiamo segnando con l’acqua del mare su cui tante volte si è posato lo sguardo di Gesù.
l direttore mi chiede un breve pezzo sul terremoto, sulle domande che molti si sono certamente poste riguardo al perché: perché la morte di tanti innocenti, raggiunti nel sonno o strappati alla vita nel pieno del loro desiderio di vivere, come quei giovani a passeggio nella notte d’estate travolti dal muro crollato di una casa di Amatrice; perché tanto assurdo dolore di chi è sopavvissuto vedendosi privato dell’affetto di alcune delle persone più amate, sposi, figli, parenti e amici di una vita; perché opere di arte e di bellezza, custodi della memoria di secoli, sono state ridotte in macerie e polvere senza possibilità di ritorno al loro splendore. Ho posto queste domande ai pellegrini che sono con me e ho provato a raccogliere i loro pensieri, quasi a dar voce a quanto in queste ore tanti stanno facendo oggetto della propria riflessione, dei dubbi inquietanti, della preghiera e dell’abbandono confidente.
Il primo a prendere la parola è don John, un giovane prete americano originario della terra d’Abruzzo, che osserva come il terremoto faccia parte della natura e vada perciò messo in conto come una possibilità dell’esistenza umana in questo mondo: per questo, occorre certamente custodire la memoria dei morti e affidarli alla misericordia del Signore, ma si deve anche guardare avanti e pensare al futuro che proprio attraverso lo sforzo della ricostruzione e della rinascita onorerà quella memoria. La risposta mi sembra una sana mescolanza di pragmatismo americano e di fede nella provvidenza di Dio. Dopo John prende la parola Simona, una ragazza luminosa, che è appena stata a Cracovia alla Giornata Mondiale della Gioventù celebrata con Papa Francesco e un milione e mezzo di giovani di tutto il mondo. Ricorda le beatitudini, in particolare quella dedicata a chi soffre e sottolinea che nella logica di Dio ciò che è debole e provato agli occhi degli uomini è spesso una misteriosa via di salvezza. Le vittime del terremoto non sono insomma dimenticate dall’Eterno, ma sono accolte nelle Sue braccia, anche se chiamate a passare per la porta stretta. Nicola prende la parola per dire che un Dio che chiede ai Suoi figli di attraversare un cammino così duro resta incomprensibile: chi crede deve fidarsi lo stesso di Lui, e chi non crede deve comunque sentirsi chiamato da simili tragedie a una nuova solidarietà verso chi soffre.
Lorenzo si dice certo che l’amore divino non può essere assente anche in eventi come il terremoto e che la risposta della fede in Lui deve diventare quella dell’impegno per chi è stato colpito da questa grande sfida: una risposta di grande umanità e di nuova generosità. Gianni chiede però di non sottovalutare lo scandalo costituito dal fatto che torri medievali abbiano resistito al sisma e moderne costruzioni antisismiche si siano sbriciolate: occorre accertare le responsabilità e stimolare una nuova etica del lavoro e della professionalità. Interviene poi Suor Grazia, una religiosa, che vede Gesù presente in chi è stato colpito nei suoi affetti più grandi: un amore silenzioso e fattivo è l’unico atteggiamento che ci è chiesto di avere. Dolore, disperazione, solidarietà vengono insomma a mescolarsi, non senza paura e smarrimento: e – sottolinea Ester, docente di medicina – possono diventare trampolino di nuovi slanci di servizio e di prossimità a chi soffre, se vengono accettati con umiltà e decisione di rimboccarsi le maniche per gli altri. C’è di tutto in queste letture, fatte a caldo da gente aperta alla fede e non di meno solidale con le domande senza risposte di tanti. Forse sta proprio qui il messaggio da cogliere in queste reazioni: accettazione della fragilità del nostro esistere, rinnovata coscienza delle responsabilità di cui ognuno deve farsi carico e scelte di solidarietà a cui nessuno deve sottrarsi, ciascuno nella misura delle proprie capacità e possibilità. Chi crede non chiamerà Dio in giudizio, ma gli chiederà aiuto per chi è stato colpito e luce e forza per rispondere al suo bisogno con intelligenza e coraggio d’amore. E sentirà così posarsi ancora su tutti lo sguardo di misericordia di Colui che sul lago di Galilea stese le sue mani per comandare al vento e al mare e ancor più sulle braccia della Croce offrì quelle stesse mani ai chiodi per fare Suo il dolore di tutti e a tutti offrire la vicinanza del Suo amore che salva.
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