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Crisi bancarie, chi non impara dalla storia le ripete

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ALLA LUCE DEL SOLE

Crisi bancarie, chi non impara dalla storia le ripete

Si è scritto moltissimo sulla crisi bancaria che affligge l’Italia, ma molto meno sulle sue cause. L’esplosione dei crediti deteriorati è dovuta alla recessione che ha colpito il nostro Paese o alla cattiva politica del credito dei nostri banchieri? Entrambe queste ipotesi hanno un elemento di verità. La crisi economica è una condizione necessaria perché le inefficienze (o frodi) vengano a galla (perfino Bernie Madoff andava bene durante l’espansione economica). Ma da sola la crisi non è sufficiente a spiegare tutte le perdite sui crediti: il Portogallo che ha subìto una crisi economica simile alla nostra ha sofferenze pari a solo il 12% dei prestiti, contro il nostro 18%.
Rispondere a questo quesito non è solo un esercizio intellettuale: serve a disegnare la soluzione. Se è solo colpa della crisi economica, una ricapitalizzazione delle banche è sufficiente. Se invece inefficienze e/o frode hanno giocato un ruolo importante, ricapitalizzare senza riformare vuol dire buttare via una valanga di soldi. È possibile separare le due cause?

La risposta è affermativa. Per dimostrare come sia possibile farlo ricorrerò ancora all’esempio del Banco di Napoli. Anche in quel caso c’era (e c’è ancora) un dibattito se il fallimento fosse dovuto all’interruzione dei sussidi della Cassa del Mezzogiorno o alla politica del credito di Ferdinando Ventriglia, che aveva gestito il Banco per più di dieci anni.
Il vantaggio di analizzare il Banco di Napoli è che abbiamo la quantità delle sofferenze recuperate dopo 20 anni e anche i costi legali pagati per recuperale. Se le perdite derivano da prestiti a imprese solide che sono state vittima di una recessione, ci aspettiamo che la maggior parte del credito venga recuperato. Se invece i prestiti sono stati concessi in modo clientelare, è ragionevole aspettarsi maggiori perdite.

I dati del Banco di Napoli evidenziano una dicotomia. Se guardiamo ai piccoli prestiti (sotto i 155mila euro) il recupero è stato straordinario: 94% del valore nominale e 138% del prezzo pagato, anche se le spese legali sono state molto elevate (9,4% del valore nominale). Questi dati fanno pensare a una crisi di liquidità dei debitori (probabilmente dovuta alla fine improvvisa della Cassa del Mezzogiorno) più che una cattiva politica del credito. Ma questi prestiti rappresentano solo il 13% dei crediti deteriorati. Il 52% è rappresentato da crediti di valore superiore ai €2,5 milioni, per i quali – dopo 20 anni – solo il 60% del valore iniziale è stato recuperato. Il buco del Banco di Napoli, quindi, è stato causato principalmente dai grossi prestiti.

Se poi guardiamo all’identità di questi grossi creditori, si capisce come la causa principale dell’insolvenza del Banco non sia stata causata da imprenditori meridionali in difficoltà dopo la fine della Cassa del Mezzogiorno, ma da imprenditori (del Nord e del Sud) politicamente ammanicati. Ad esempio, Salvatore Ligresti, che ha ricevuto 362 milioni di euro dal Banco di Napoli, causando perdite per circa 136 milioni. O il gruppo Ferruzzi, che nel suo complesso aveva ricevuto dal Banco prestiti per 590 milioni di euro, causando una perdita per 202 milioni. Per non parlare del giornale “l’Unità” che – secondo notizie di stampa - dopo 20 anni dovrebbe al Banco ancora 20 milioni di euro. È difficile classificare questi tra i crediti deteriorati a causa della fine della Cassa del Mezzogiorno.

Che il Banco di Napoli sia fallito a causa di una politica di credito clientelare non dimostra che l’attuale crisi del sistema bancario sia dovuta alla medesima causa. Ma rende questa ipotesi più plausibile, soprattutto se guardiamo alle statistiche sulla composizione delle odierne sofferenze. Secondo Unimpresa il 48% dei crediti deteriorati riguarda prestiti superiori ai €2,5 milioni, proprio come il Banco di Napoli. E proprio come per il Banco, negli anni scorsi i grossi creditori in difficoltà sono stati i soliti noti: Luigi Zunino, Romain Zaleski e il sempre presente Ligresti. Come diceva filosofo spagnolo George Santayana, «chi non impara dalla storia è condannato a ripeterla».

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