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La lezione anticipatrice di Einaudi e Baffi e la serietà necessaria per onorare il dolore di oggi

Da sinistra, Luigi Einaudi, Paolo Baffi e Ignazio Visco
Da sinistra, Luigi Einaudi, Paolo Baffi e Ignazio Visco

«La lotta contro la distruzione del suolo italiano sarà dura e lunga, forse secolare. Ma è il massimo compito d’oggi, se si vuole salvare il suolo in cui vivono gli italiani. La direzione generale delle foreste dovrebbe chiamarsi direzione generale della conservazione del suolo e delle foreste. L’arricchimento del nome non dovrebbe importare sdoppiamento, sinonimo di rivalità e di lotte di competenze. Significherebbe soltanto che lo Stato tutela e ricostruisce la foresta per lo scopo supremo di salvare la terra italiana. Significherebbe che lo Stato intende vegliare affinché, dopo secoli di distruzione, si salvi quel poco che resta delle foreste e del suolo delle Alpi e degli Appennini e si ricostruisca parte di quel che fu distrutto».
Lettera di Luigi Einaudi ad Alcide De Gasperi, 1951, scritta al termine di un viaggio dalle zone del Polesine colpite dall’alluvione in «Lo scrittoio del Presidente (1948-1955)», Einaudi, Torino, 1956.

«Caro Senatore Visentini, Le sono veramente grato per avermi incluso tra i destinatari della Sua prolusione alla Fondazione Cini, la cui lettura mi ha offerto istanti di diletto e di attenta riflessione. Noi che abbiamo conosciuto nella nostra giovinezza i momenti, da Lei richiamati in modo vibrante nella sua contenutezza, in cui ci venivano negati gli strumenti stessi della conoscenza, abbiamo una ragione in più per porci il pluralismo culturale in imperativo.
Sono rimasto un po’ incerto di fronte alla Sua definizione della cultura come complesso degli strumenti che l’intelligenza dell’uomo sa creare per interpretare e modificare la realtà. Mi pare che sfugga l’uso che l’uomo fa o non fa di quegli strumenti, non indifferente ai fini della definizione della cultura di un certo tempo, nella quale quindi vedrei accanto al momento conoscitivo un momento attivo. Ad esempio l’uomo avrebbe oggi gli strumenti per difendere l’ambiente eppure lo distrugge (in ciò distruggendo progressivamente gli altri esseri viventi): su quale dei due momenti dovremo misurarne la cultura? Se sul secondo, siamo più che mai nelle età oscure. Si può relegare questo aspetto alla nozione sociologica? Forse sì, ma l’idea di una cultura inerte, se non nel suo farsi, mi lascia un poco insoddisfatto. Ricambiando ogni buon augurio e nell’attesa di averLa tra noi».
Lettera di Paolo Baffi a Bruno Visentini, 26 gennaio 1978, in «Servitore dello Stato» di Beniamino Andrea Picone, Nino Aragno Editore, Torino, 2016.

«Un giorno mi capitò di leggere in un opuscolo illustrativo della torre della Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) a Basilea in cui lavoro, che i suoi ambienti sotterranei hanno una cubatura maggiore di quelli fuori terra. Ciò mi suggerì un’analogia con la società italiana, ingannevole però: i sottosuoli della torre le conferiscono funzionalità e stabilità, mentre in termini di queste la società italiana guadagnerebbe molto ove i suoi venissero portati alla luce e ristrutturati».
Lettera di Paolo Baffi a Giorgio Napolitano, 7 gennaio 1981, in «Servitore dello Stato» di Beniamino Andrea Picone, Nino Aragno Editore, Torino, 2016.

«Sommessamente penso che dopo la rivoluzione industriale e soprattutto con l’esplosione demografica di questo secolo, ai problemi essi stessi resisi più gravi dei rapporti fra uomini, fra classi, si sia aggiunto, sino a farsi centrale, quello del rapporto tra la nostra specie e il creato, che essa viene distruggendo con una trascuranza, una ferocia e un ritmo che presto toglieranno senso alla vita e che in coscienze sensibili spengono la stessa fede: come può infatti credere avere un rapporto privilegiato con Dio una specie che ne uccide la creazione?».
Lettera di Paolo Baffi ad Arturo Carlo Jemolo, 31 dicembre 1977, in «Nuova Antologia», luglio-settembre 1990.

«Una maggiore attenzione, maggiori investimenti pubblici e privati per l’ammodernamento urbanistico, per la salvaguardia del territorio e del paesaggio, per la valorizzazione del patrimonio culturale possono produrre benefici importanti, coniugando innovazione e occupazione anche al di fuori dei comparti più direttamente coinvolti, quali edilizia e turismo».
Considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, 26 maggio 2015

Luigi Einaudi, Paolo Baffi, Ignazio Visco, in stagioni molto differenti tra di loro, ci trasferiscono il senso profondo di una consapevolezza che pone l’ambiente al centro della politica di sviluppo del Paese, interroga le coscienze di molte classi politiche, di ogni colore, e del ceto economico affaristico, i comportamenti individuali e collettivi di strati diffusi della comunità nazionale. Delineano, con ancora maggiore forza, il carico (colpevole) del ritardo italiano di questi giorni. Negli occhi e nel cuore abbiamo tutti bambine e bambini, donne e uomini di Amatrice, Accumoli, Arquata e Pescara del Tronto spariti tra le macerie del terremoto, in una notte di fine estate, ma dietro la loro morte terribile ci sono problemi non risolti che “scalano” le generazioni e proprio per questo si tramandano, dal “cratere” dell’Irpinia a L’Aquila fino ad Amatrice, in un circuito (colpevolmente) monotono dove l’emozione, la mobilitazione e il clamore durano un mese per lasciare, poi, che il dibattito si spenga e tutto resti come prima. In attesa del prossimo terremoto, delle prossime vittime e delle prossime emozioni, consentendo addirittura che il sussulto della terra arrivi a disporre di una vita che non è la tua nella tua casa, ma che, come nel caso di Amatrice, se ne va di notte in vacanza, in una casa in affitto o in albergo, tutti privi delle certificazioni di sicurezza. Non è vero che è stato finora sempre così, non mancano le eccezioni, e il caso di Norcia, che ha distanze e accelerazioni telluriche simili a quelle di Amatrice e non ha avuto vittime, è la prova evidente che si può mettere in sicurezza il territorio ed è esattamente quello che è avvenuto dopo il terremoto di Umbria-Marche del ’97. Ognuno di noi faccia il suo in termini di sicurezza e di certificazioni e lo faccia con serietà senza invocare alibi e scorciatoie. Einaudi e Baffi, con la loro impronta di serietà e di rigore, avevano visto lungo, è merito di un’istituzione riconosciuta a livello internazionale come è la Banca d’Italia di oggi non avere mai mollato su questi temi che sono il vero spartiacque tra il mondo civile e quello che fa ancora fatica a esserlo. Pretendiamo dalla politica e dal mondo dell’economia un piano di prevenzione di lungo termine e cultura della legalità, che coinvolgano governo, Europa e macchina amministrativa territoriale. Dimostriamo con i fatti di credere nella lezione anticipatrice di Einaudi e Baffi e facciamone la base condivisa della coscienza del Paese mettendo ladri e profittatori di fronte alle loro responsabilità. Imponiamocelo come regola di vita, e assumiamo tutti i comportamenti coerenti. Siamo seri, per una volta, e diciamo con chiarezza che si tratta di un programma a medio termine, almeno decennale, sono questi che cambiano la storia di un Paese. Soprattutto, smettiamola di dimenticare. Questo, non altro, deve essere il modo di onorare il dolore di oggi e di ieri.

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