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Se la Merkel perde il timone dell’Europa

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L'Editoriale|la questione tedesca

Se la Merkel perde il timone dell’Europa

Per un tedesco su due, allarmato dalla sua politica aperturista sui rifugiati, meglio che il prossimo autunno eviti di correre per la quarta volta consecutiva alla conquista della cancelleria. Nel Meclemburgo, il suo Stato natale, domenica la Cdu-Csu, il suo partito, rischia la sconfitta, lo schiaffo dell’AfD, la nuova formazione nazionalista e anti-immigrati.

L’altro ieri e per la prima volta ad alta voce Sigmar Gabriel, il suo vice socialdemocratico, ne ha contestato la politica su due temi sensibilissimi: invocando da un lato l’imposizione di un tetto al numero annuo di profughi da accogliere nel Paese e dall’altro dando per morto il Ttip, il patto transatlantico su commercio e investimenti (salvo poi essere smentito a Berlino come a Bruxelles).

Da Brexit all’economia, investimenti e lavoro, dalla politica migratoria, quote comprese, a sicurezza e commercio, il dissenso circa le sue scelte europee si è sentito del resto forte e chiaro a Sud come a Est e a Nord dell’Unione nell’ultima settimana che l’ha impegnata in contatti con ben 13 Paesi, subito dopo l’incontro di Ventotene con Italia e Francia. L’idea era di cercare di coagulare il consenso in vista del vertice di Bratislava a metà settembre, il primo senza la Gran Bretagna. In realtà non ha potuto che constatare le solite divergenze di interessi, culture, ambizioni anche a 27.

Fosse solo una questione tedesca, l’altalena delle magnifiche sorti e progressive di Angela Merkel in casa e fuori, se non beata indifferenza, potrebbe suscitare attenzione limitata. Non è così. Paradossalmente il destino del cancelliere oggi è un problema molto più europeo che tedesco. Tanto che non è esagerato chiedersi se il declino della sua stella a Berlino non finirebbe per travolgere l’Europa multi-crisi e malconcia che conosciamo, in eterno equilibrio e coesione precari.

In breve se l’uscita di scena di una mediatrice calma ma accanita non sarebbe la goccia che fa traboccare il vaso del grande disordine esistenziale che da anni travaglia l’Unione.

Emersa tardi, la leadership travolgente di Helmut Kohl ha cambiato la storia: della Germania e dell’Europa. La sua pupilla ingrata non gli assomiglia: ma la sua capacità di vivisezionare problemi e tensioni alla ricerca di compromessi realistici (e per questo troppo spesso troppo provvisori) le ha permesso negli ultimi anni di governare con tranquilla ma efficace determinazione il perpetuo caos europeo. Facendo della Germania il leader solitario ma indiscusso dell’Unione.

Ha fatto anche tanti errori la Merkel ma ha sempre trovato il modo di metterci una pezza. Non è particolarmente amata dai partner ma di sicuro è rispettata. Non è poco. Visto che viene da un paese dogmatico, appagato dalle proprie certezze etico-ideologiche, si guarda bene dallo scuoterle però riesce a temperarle con pragmatismo concreto. All’inglese.

I tempi sono durissimi. Oggi l’Europa è un florilegio di debolezze politiche, economiche, finanziarie, culturali, tecnologico-digitali costrette a convivere non tanto con appuntamenti elettorali a getto continuo (quelli ci sono sempre stati) quanto con le fatiche della lunga transizione dalla democrazia rappresentantiva a quella diretta. Con tutta l’instabilità che ne deriva. Per tutti.

Come se non bastassero il vulnus di Brexit di cicatrizzazione incerta, lo sgoverno dell’immigrazione ostaggio di egoismi incrociati e duri a morire, la roulette di elezioni americane che questa volta rischiano di far saltare molte certezze del dopoguerra, l’Europa da troppo tempo si dibatte nella trappola della bassa crescita economica, che in realtà è occidentale e che erode il consenso dei suoi cittadini. La Bce prova a sostenerla ma da sola non può fare tutto. In compenso la politica dei tassi bassi stressa i bilanci delle banche. E irrita i risparmiatori tedeschi, non a caso divenuti a loro volta sensibili alle sirene dell’anti-europeismo, dimenticando di essere i maggiori beneficiari dell’euro.

Ce ne vorrebbero urgentemente ma in giro non si vedono leader capaci di guardare lontano e provare a reinventare il futuro collettivo. Non si vedono nemmeno sotto i tendoni elettorali a scaldarsi i muscoli. Si vedono invece piccoli e grandi nazionalisti, populisti, euroscettici quasi ovunque in ascesa. Per questo la perdita di Angela Merkel, l’unico grande leader europeo nel suo piccolo (almeno finora) potrebbe rivelarsi uno shock insostenibile. Perfino peggiore di Brexit.

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