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Una inaccettabile miopia

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L'Analisi|Scenari

Una inaccettabile miopia

Il Berlin Consensus non funziona. E, quando assume tratti unilateralmente egemonici, non è accettabile. Il realismo è un valore, soprattutto nei passaggi più complicati della politica e della economia.

Il condizionamento sistematico di ogni situazione da parte degli interessi nazionali non lo è.

Lo stallo dei negoziati per il Transatlantic Trade and Investment Partnership – l’accordo di integrazione per il libero scambio fra Unione europea e Stati Uniti – va affrontato con pragmatismo.

Ma dare per morto – nella sua essenza progettuale più profonda e di lungo periodo – il Ttip è una operazione in cui si rilevano due difetti visivi: la miopia di chi, per il futuro benessere comunitario, non riesce a guardare lontano e la presbiopia di chi, troppo attratto dal proprio “particulare”, alla fine non riesce nemmeno a mettere a fuoco quello che ha vicino.

Il vicecancelliere tedesco Sigmar Gabriel, il socialdemocratico titolare del dicastero dell’Economia, ha affermato domenica alla Zdf che «i negoziati con gli Stati Uniti sono di fatto falliti perché noi europei non abbiamo voluto sottometterci alle richieste americane».

È noto che su alcuni temi – la sicurezza alimentare e i meccanismi di “marcatura della provenienza” dei cibi – restano grandi le distanze fra le due sponde dell’Atlantico.

Ma dichiarare in maniera così esplicita e quasi soddisfatta l’archiviazione di una pratica, intonando con un certo gusto il suo de profundis, significa rinunciare a tenere accesa la luce di un progetto che, secondo la stessa Commissione europea, da qui al 2027 permetterebbe all’Unione europea una crescita media del Pil dello 0,48% (86,4 miliardi di euro) e dell’export del 28% (187 miliardi di euro) e garantirebbe agli Stati Uniti un aumento medio del Pil dello 0,39% (65 miliardi di euro) e dell’export del 36,5% (159 miliardi di euro). E, questo, vale soprattutto adesso che l’Unione europea dovrà già assorbire gli effetti di Brexit.

Due le osservazioni. La prima è che, nell’imminenza delle elezioni del 2017, la pelle della Germania diventa iper-sensibile alla comparsa di qualunque tema che riguardi l’assetto comunitario, la natura stessa dell’Unione e il ruolo di Paese guida.

Dunque, un argomento spinoso e tecnico come il Ttip – assai gettonato su internet e i social media da parte di ogni convinto “anti-globalista”– appare utile per indebolire la Cdu di Angela Merkel, che invece ha sempre creduto nella validità – non ideologica, ma concreta – dell’accordo.

Seconda osservazione: va bene – si fa per dire – l’imposizione – ossessiva e con tratti di moralismo – a tutti i Paesi della politica di bilancio quale unica via di salvezza dei bilanci pubblici; va bene la vigilanza bancaria della Bce in cui si parla più tedesco che inglese e dove si guarda con umana comprensione alla montagna di derivati di Deutsche Bank e ai bilanci delle Landesbank; ma si può sapere perché, con una certa noncuranza, si cancella con un tratto di gommapane l’ipotesi del Ttip?

Forse perché dal punto di vista della strategia della costruzione dei grandi aggregati industriali transnazionali la Germania ha il vantaggio di avere elaborato, fin dagli anni Ottanta, una aggressiva politica di espansione in Polonia, in Ungheria, in Slovacchia e nella Repubblica Ceca?

Nei fatti il sistema industriale tedesco si estende – con le sue fabbriche e i suoi laboratori, le sue relazioni industriali e la preminenza proprietaria – a buona parte dell’Europa dell’Est.

Dunque, il Ttip appare meno essenziale per il suo sviluppo. Va bene, dunque, a tutta l’Europa questo tipo di Berlin Consensus?

No, non va bene.

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