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Sul trattato transatlantico troppi calcoli elettorali

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L'Analisi|l’analisi

Sul trattato transatlantico troppi calcoli elettorali

Il Ttip (o Transatlantic trade and investment partnership) è un magnifico capro espiatorio. Permette di strizzare l’occhio ai protezionisti senza dichiararsi esplicitamente tali. Le posizioni contrarie all’accordo transatlantico non negano i meriti del libero commercio. Parlano invece di riduzione degli standard ambientali, di regole fito-sanitarie inadeguate. Rifiutano l’idea di adeguarsi a regole altrui. Difendono la prerogativa dei propri cittadini ad avere preferenze diverse relativamente agli organismi geneticamente modificati o ai polli sbiancati. O rifiutano un mondo dove le prerogative autocratiche delle multinazionali prevarrebbero su quelli di governi liberalmente eletti.

«I negoziati con gli Usa sono falliti perché noi europei non abbiamo voluto sottometterci alle richieste americane», ha dichiarato lunedì il vicecancelliere e ministro dell’Economia tedesco Sigmar Gabriel. Sulla stessa linea, ieri, il ministro al Commercio estero francese Matthias Fekl. Fa onore alla Commissione Europea procedere con il negoziato e al Governo italiano stare alla larga da posizioni così ottuse.

Ottuse perché fondate su una rappresentazione della realtà distorta. L’accordo ha poco a che fare con la riduzione dei dazi, già molto bassi. Riguarda le barriere non tariffarie, essenzialmente standard e regole non coincidenti. La differenza negli standard tra America ed Europa genera costi molto elevati agli scambi tra i due continenti, soprattutto rilevanti per le piccole imprese. L’esercizio principale del Ttip è un’armonizzazione delle regole. Un esercizio che permette di evitare che un produttore di giocattoli, di automobili o di cioccolatini debba modificare i propri prodotti secondo
il mercato in cui vende.

Armonizzare le regole significa certo accettare dei compromessi. È anche possibile che in alcuni casi non sia possibile fare un compromesso sensato e forse queste partite potranno essere lasciate da parte. Ma in moltissimi casi i compromessi sono possibili a costi relativamente bassi. A volte la soluzione sarà più vicina alle preferenze americane, altre a quelle europee, altre ancora sarà una buona via di mezzo. Comunque, nessun accordo commerciale tra aree economiche di entità e peso politico simile come gli Stati Uniti all’Europa potrà mai essere concluso con una parte che prevalga sull’altra. La sottomissione alle domande americane e per gli Stati Uniti la sottomissione alle domande europee, non sono scenari realistici.

E se le due aree del mondo in cui le preoccupazioni per l’ambiente, la salute e la sicurezza sono più
vive non riescono a darsi regole comuni, il rischio è che queste regole saranno imposte da aree dove
queste preoccupazioni sono
molto più attenuate.

Gli Stati Uniti hanno già concluso con molti Paesi asiatici e dell’America Latina una Trans pacific partnership. In un mondo di liberi scambi, se l’Europa non si muove a fissare regole comuni con gli Usa, rischierà infine di dover accettare standard fissati da altri, su oceani su cui non si affaccia. In questo senso l’accordo atlantico è la via maestra perché gli standard elevati che stanno a cuore sia agli europei
che agli americani possano
prevalere globalmente.

Per ottuse che possano essere, le posizioni anti-accordo prevarranno fino alla fine del ciclo elettorale con la chiusura delle urne tedesche, a parte per qualche candidato che avrà il coraggio e si assumerà la responsabilità di spiegare ai suoi elettori perché un accordo di questo tipo porterebbe migliorare il loro benessere. Intanto il Ttip starà in freezer. Sarà un temporaneo letargo o una sepoltura definitiva?

Ai nuovi eletti, chiuse le urne, si porrà un difficile commercio tra la propria coerenza e il benessere dei cittadini. Essere coerenti e uccidere definitivamente l’accordo, così privando i cittadini dei suoi benefici? O essere incoerenti e concludere l’accordo, a beneficio sia degli americani che degli europei?

Ambiguità e compromessi di un’Europa e di un’America dove si pensa a cosa gli elettori vogliano sentirsi dire, invece di ispirarli con progetti forti e utili a tutti.

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