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Mio padre, la gioia di fare cinema e l’amore per l’Italia

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«tutti a casa» restaurato alla mostra di venezia

Mio padre, la gioia di fare cinema e l’amore per l’Italia

La Mostra del Cinema di Venezia ha aperto martedì sera la sua 73esima edizione con la proiezione, per la rassegna sui Classici, della copia restaurata del film di mio padre “Tutti a casa”. Ho avuto la grandissima emozione di assistere, con mia sorella Eleonora, mio nipote Carlo, sua moglie Violante e sua figlia Tay, a questa proiezione. La sala Darsena era gremita, non credo di aver mai visto una sala di cinema così piena! Essere lì mi faceva sentire di stare nel posto giusto. Il lavoro di restauro ha restituito una nitidezza nuova al film, oltre che ben sei minuti tagliati. Vorrei ringraziare la Filmauro e il Centro Sperimentale di Cinematografia per averlo curato. Ringrazio anche i laboratori di Cinecittà digital e Augustus color, che lo hanno eseguito, e ogni persona che in quei laboratori ha preso parte al lavoro.

uando mio padre ha girato Tutti a casa aveva 44 anni. Aveva già 3 figlie, e l’anno successivo sarebbe nata la quarta, io. Aveva già girato parecchi film, alcuni di grande successo, come Pane amore e fantasia, altri che invece non avevano avuto altrettanto favore, seppure molto belli, come La finestra sul luna park. Ma in Tutti a casa è come se le tessere di un mosaico che di film in film andava delineandosi avessero trovato una forma piena. Per mio padre fu un progetto felice. Lui scrive, nel suo libro di memorie, intitolato Davvero un bel mestiere, che «non vi fu mai una troupe più affiatata e più allegramente disposta a superare ogni ostacolo» come quella con cui girò Tutti a casa. Scrive anche che «i vari posti d’Italia, così ben ambientati da Mario Chiari, pareva chiedessero loro di essere inclusi nel film», tanto era forte la vitalità che animava la pellicola di giorno in giorno. Scrive infine che «è un film pieno di passione e di amore per l’Italia».

È un film pieno di desiderio di Italia, il desiderio di un bambino e ragazzo spaesato, quale fu mio padre. Figlio di una mamma svizzera tedesca e di un padre italiano, emigrò molto piccolo, a 6 anni, con i suoi genitori e suo fratello Gianni in Francia, dove trascorse la sue infanzia e adolescenza. Fu un’infanzia solitaria, e forse un po’ sofferta, come lo è quella, penso, quella di ogni bambino costretto a emigrare. Trascorreva le sue giornate nel giardino dietro la loro casa vicino alla cittadina di Agen, nel Lot-et-Garonne, dove i miei nonni si erano improvvisati agricoltori, a guardare i treni che passavano, perché la linea ferroviaria era molto vicina. I treni lo affascinavano moltissimo, e forse sognava di salire su uno di essi per tornare in Italia. Poi, un giorno, un giovedì pomeriggio, mentre era nel centro di Agen, sentì alle sue spalle il campanello che annunciava l’inizio dello spettacolo al cinema Majestic. Si avvicinò a guardare le fotografie esposte in vetrina. Il film si chiamava L’Atlantide. Comprò il biglietto e entrò. «Il cinema, questa è la mia vocazione!», pensò, subito.

Divenne il suo sogno, all’inizio segreto e impossibile, la fine della solitudine, l’amore di tutta la sua vita. Il cinema è stato il Paese di mio padre, il treno che gli ha consentito di tornare a casa. Grazie al cinema ha indagato e raccontato l’Italia con la passione e il desiderio verso il Paese dal quale era stato sradicato. Ecco, mi tocca molto pensare che proprio questo bambino spaesato sia diventato poi uno dei più grandi narratori dell’identità nazionale, in molti dei suoi film, e in modo particolarmente riuscito in Tutti a casa. Mi tocca che, insieme a un pugno di altri registi, sia riuscito a comunicare con un pubblico così vasto di italiani/e, raccogliendo l’eredità del neorealismo e traghettandola verso un’evoluzione estremamente vitale e feconda. Eppure delle tracce di quello spaesamento restarono sempre in lui.

Mio padre era un uomo molto intelligente e molto mite, molto colto e molto umile, umile oltre l’umiltà. Era molto timido e molto risoluto. A chi lo chiamava artista rispondeva sempre di essere solo un artigiano. Quando incrociava una signora si levava educatamente la coppola che portava sempre in testa. L’assenza di qualsiasi traccia di presunzione riempiva ogni suo gesto, da quando ci preparava la colazione la mattina prima di andare a scuola a quando era sul set, dove esprimeva piena padronanza, era molto sicuro di sé, ma mai presuntuoso. A riparo della sua anima noi sorelle siamo cresciute e continuiamo a vivere.

La sua presenza in me si allarga ogni giorno da quando non c’è più, e, da figlia, anche per questo sono grata della serata veneziana di ieri: perché ho condiviso con così tante persone non solo la visione del suo film, ma la sua presenza, che per incanto non sentivo solo nella mia memoria e nel mio respiro, ma, all’unisono, nel respiro di una folla, che rideva e si emozionava come se fosse la prima volta in cui Tutti a casa veniva proiettato, come fosse stato girato ieri. Ho provato un grande senso di pace.

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