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Lo schiaffo alla Merkel fa male all’Europa

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L'Editoriale|DOPO IL VOTO TEDESCO

Lo schiaffo alla Merkel fa male all’Europa

Fosse solo il sonoro schiaffo alla Cdu-Csu e la pesante umiliazione di Angela Merkel nel suo Land natale. Il voto di domenica nel Meclemburgo va oltre. Dice almeno altre due cose destinate a lasciare il segno in Germania e in Europa.

La prima è che la Germania si conferma ormai a tutti gli effetti un Paese normale, europeizzato fino all’osso, simile a tutti gli altri anche negli aspetti che potrebbero alla lunga erodere le basi della fin qui proverbiale stabilità della sua democrazia.

L’ennesima vittoria dell’Alternative fur Deutschland (Afd), ormai presente in oltre la metà dei 16 Laender del Paese, polverizza un tabù del dopoguerra consolidando un interlocutore politico alla destra della destra democristiana, che si è guadagnato sul campo una solida “licenza di uccidere” i due maggiori partiti tradizionali insieme alla formula della grande coalizione. L’ascesa di un terzo incomodo forte, in grado di sparigliare i giochi invece di ricomporli, rischia dunque di esporre la Germania alla sindrome spagnola: governabilità a pezzi, doppia ma inutile vittoria elettorale del democristiano Mariano Rajoy a Madrid, possibile nuovo ricorso alle elezioni: sarebbero le terze in soli 9 mesi.

Lo scenario per ora è del tutto ipotetico ma non peregrino. Di sicuro galvanizza gli entusiasmi delle altre destre estreme d’Europa che non osavano sperare nella caduta degli dei a Berlino ma ora vi trovano un referente che inevitabilmente ne rafforza ovunque il messaggio e anche il peso politico.

Con le nuove presidenziali in Austria ai primi di ottobre, il referendum in Ungheria sulla spartizione per quote Ue dei rifugiati e poi in primavera le elezioni in Olanda e in Francia aspettando le legislative tedesche nell’ottobre 2017, il voto in Maclemburgo (seguito da altri due appuntamenti in settembre) promette di soffiare in tutta Europa il vento nelle vele dei partiti nazional-protezionisti, anti-immigrati, anti-europei, anti-sistema. Di incoraggiare la protesta per la protesta, le ansie di rottura senza concrete proposte alternative.

Effetti domino più o meno targati Brexit, nel caos di emozioni spesso irrazionali e vuoto di idee. Se questa è l’Europa del crescente dissenso popolare che ci attende impazzando da Nord a Sud, da Est a Ovest con ormai un epicentro franco-tedesco, Marine Le Pen e Frauke Petry che vanno a braccetto in vista delle prossime prove elettorali, i prossimi mesi non saranno quelli del rilancio dell’integrazione e delle proposte anti-crisi ma della melina più o meno chiacchierona. Il 2017 si annuncia un anno perso per ogni tipo di riforma qualificante.

È questo il secondo messaggio implicito diretto all’Europa, arrivato domenica dalla Germania. Da qui in avanti inevitabilmente tutti i governi saranno impegnati nella lotta per la sopravvivenza, non dell’Europa ma della propria carriera politica (che è poi quella che preferiscono sempre). Indebolita, sulla difensiva ma costretta al contrattacco, la Merkel dovrà rivedere le sue priorità interne e anteporne la realizzazione a qualsiasi ambizione europea che non sia funzionale alla soluzione dei problemi di casa.

Dai profughi al rilancio di economia, lavoro e investimenti europei al rafforzamento dell’eurozona, dal patto con la Turchia di Erdogan alla chiusura delle frontiere, alle quote di redistribuzione degli immigrati, dal terrorismo al potenziamento della sicurezza, tutte le ricette non potranno che avere un’impronta più tedesca e meno europea. Per questo difficilmente potranno coagulare consenso nell’Unione.

Da leadership riluttante, quella tedesca rischia di diventare una leadership paralizzante almeno fino all’autunno prossimo. Con il placet silenzioso degli altri Governi, a loro volta ansiosi di evitare azioni di disturbo nocive a prove elettorali già estremamente ostiche.

Ma può l'Europa del surplace e dei rinvii essere una risposta realistica e accettabile all’assedio delle crisi multiple? I populismi oggi prosperano perché i partiti tradizionali per troppi anni hanno deluso o ignorato problemi e scontento di poveri e disoccupati, il disagio di società sempre più eterogenee e multietniche, ma meno governate. Nel mondo globale l’Europa non è una scelta ma una necessità: continuare a far finta di non saperlo potrebbe procurare a tutti un risveglio molto amaro. Anche alla Germania: non tra un secolo ma nel 2030-35 nessun Paese europeo, dicono gli studi, comparirà tra le sette maggiori economie del mondo.

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