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La faccia triste dell’America è un incubo cannibale

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Cultura & Società

La faccia triste dell’America è un incubo cannibale

È

davvero un problema non avere un frigo. Specie se si vive nel deserto che si estende a sud del Texas e si è cannibali. Laggiù c’è un caldo esagerato e la carne va a male, quindi l’unica soluzione è tagliare con una sega o con un’ascia un arto del malcapitato per poi tenerlo in catene fino al prossimo barbecue. Per questo motivo rimane monca Arlen (Suki Waterhouse), protagonista di “The bad batch” di Ana Lily Amirpour, in Concorso alla 73esima edizione della Mostra del cinema di Venezia. Son cose che possono succedere a chi viene sbattuto fuori dagli Stati Uniti per aver infranto la legge; allora si può finire nel piatto dei cannibali in un villaggio fatto di fusoliere di aerei smembrati, esasperazione apocalittica delle comunità irregolari ai margini d’America descritte da “Below sea level” di Gianfranco Rosi (2008) o in “Louisiana” di Roberto Minervini (2015). Oppure si può fare un atterraggio un po’ più morbido a Comfort, una comunità di drogati guidata da un santone come Keanu Reeves, trafficante di droga e pasticche, affabulatore di vestali, tutte incinte di lui.

La regista d’origine iraniana, naturalizzata americana, gioca in casa con l’horror – perché di questo si tratta, soprattutto se la bisteccona umana è servita alla proiezione delle 9 del mattino – anche se la produzione del film si ostina a chiamarlo thriller-western romantico. Amirpour nel 2014 aveva portato al Sundance “A Girl Walks Home Alone at Night”, storia in bianco e nero di una vampira che punisce gli empi e protegge le donne. “Il lotto difettato” è invece una metafora del Potere, dell’America che non perdona chi sbaglia, e del regime, attraverso quei dittatori in piccolo che sono i cannibali. Come Joe (Jason Momoa), un culturista-pittore, che quando ha fame esce di casa e mutila una donna, ma è capace di andare in capo al mondo pur di ritrovare la figlia che un giorno non torna più a casa. La piccola finisce nelle grinfie allucinogene di Keanu Reeves e si rifugia nell’affetto di un coniglio che le compra Arlen come risarcimento per aver ucciso la madre con un colpo di pistola. Quando papà però viene a salvarla il coniglio finisce in pentola, come un’Alice di Lewis Carroll rovesciata.

Altro titolo in concorso è “Una vita” di Stéphane Brizé, tratto dall’omonimo e primo romanzo di Guy de Maupassant, che, filologicamente, ricostruisce la vita di Jeanne (Judith Chemla), nata bene ma poi battuta dalla vita. Tra tradimenti coniugali, dispiaceri filiali, fallimenti economici e menzogne, il film si regge tutto sull’interpretazione di Chemla (potrebbe aspirare alla coppa Volpi se vincesse un film americano, ipotesi non remota), anche se molta parte della critica ha pensato che a Brizé mancasse l’ispirazione visiva che dovrebbe invece compensare i dialoghi piuttosto lontani dai nostri tempi.

Meglio è andata a Kim Rossi Stuart, regista e protagonista di “Tommaso” (Fuori concorso), che nel raccontare lo stato di infantilismo adolescenziale di un maschio quarantenne senza figli sa usare una dose di ironia che fa abbandonare a un piacevole ghigno. Rossi Stuart inscena una parodia morettiana in cui Tommaso è un attore sempre in cerca di ispirazione e di una compagna diversa da quella che ha. Deve arrivare una ragazzina di provincia, spiritosa, schietta e sensuale per farlo scendere dalle proprie ubbìe. Lenta la prima parte, che avrebbe bisogno di una sforbiciata, meglio la seconda.

Vale la pena di vedere “La ragazza del mondo” (Giornate degli autori), ricostruzione molto vicina alla probabile epopea di quello che potrebbe accadere a una ragazza che si affranca dalla comunità di Testimoni di Geova. Infine, interessanti due documentari italiani: “Assalto al cielo” (Fuori concorso) del bravo Francesco Munzi (autore di “Anime nere”, 2014) che ricostruisce la protesta studentesca tra il 1967 e il 1977, importante a un secolo dalla nascita di Aldo Moro. E “Liberami” di Federica Di Giacomo (sezione Orizzonti) sul fenomeno dei riti religiosi per scacciare l’esorcismo in Sicilia. Ne avrebbero bisogno i cannibali del deserto.

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