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La trappola dei tassi negativi

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L'Analisi|L’analisi

La trappola dei tassi negativi

Viviamo in un territorio inesplorato, non contemplato dai manuali di economia. Aumentare la quantità di moneta in circolazione risulta indifferente (contrariamente a quanto studiato all'università sulla base della teoria monetarista) ai fini di risollevare l'inflazione. Ne sa qualcosa la Bce che proprio nel momento in cui ha espanso il suo bilancio su livelli record (siamo oltre 3.400 miliardi) per effetto degli oltre 1.000 miliardi iniettati attraverso l'acquisto di titoli di Stato nell'ambito del programma di quantitative easing varato a marzo 2015, non riesce a schiodare l'inflazione.

I prezzi crescono al ritimo dello 0,2% annuo (dato medio dell’Eurozona) con molti Paesi a combattere le sabbie mobili della deflazione. L’obiettivo di un’inflazione «inferiore ma vicina al 2%» sembra lontano anni luce, anche nelle prospettive quinquennali (1,26%). Ma mentre l’Europa annaspa in questo circolo vizioso i Paesi che hanno lanciato per primi il «Qe» per rispondere alla crisi dei derivati subprime del 2008, vale a dire Usa e Gran Bretagna, sono riusciti a tirarsi fuori dalla trappola dei tassi negativi. Come mai?

Il mondo dei Paesi sviluppati è spaccato in due. Usa e Gran Bretagna - i primi a muoversi con piani monetari espansivi già nel 2009 - sono riusciti a evitare il contagio dei tassi negativi. Mentre l’Europa - che si è mossa solo nel 2015 con il primo quantitative easing - si sta, da questo punto di vista, giapponesizzando. Ce lo dicono i rendimenti dei bond. I Treasury americani a 10 anni rendono l’1,5% e i Gilt britannici di pari durata lo 0,66%. Positivi i rendimenti anche sulla scadenza minima a 3 mesi (rispettivamente 0,32% e 0,23%).

L’Europa invece è il continente più colpito da questa spirale con 18 Paesi (anche fuori dall’area euro) che convivono con uno scenario di tassi negativi su molte scadenze del proprio debito pubblico. Se in apparenza sembra una buona notizia (in termini nominali si pagano meno interessi sulla curva del debito) in realtà il dato riflette la stortura di aspettative di inflazione molto basse (incorporate dai rendimenti dei bond) tanto nel breve quanto nel medio periodo. Questi tassi in sostanza indicano che i mercati non credono che l’Europa riuscirà in tempi brevi a sfuggire alla trappola della bassa inflazione in cui è caduta.

C’è ora attesa per le decisioni che annuncerà domani la Bce: secondo alcuni analisti potrebbe allungare la scadenza dell’attuale piano di quantitative easing di altri 6-9 mesi. Altri ipotizzano un atteggiamento un po’ più guardingo. Altri invece puntano sull’annuncio di un Qe senza più limiti temporali. Nella sfilza delle ipotesi c’è anche chi ritiene a questo punto probabile che a breve giro la Bce possa rompere gli indugi ampliando anche alle azioni il raggio di manovra di titoli acquistabili. Non sarebbe la prima banca centrale a farlo(la Banca centrale svizzera in questo momento detiene azioni per circa 200 miliardi di dollari, soprattutto blue-chip americane fra cui Apple e Coca-Cola e la Banca del Giappone ne possiede per 98 miliardi).

Ma sarebbe una mossa probabilmente inefficace per l’obiettivo di riportare in alto l’inflazione. I Paesi dove il Qe ha in parte funzionato (Usa e Gran Bretagna) e dove l’inflazione è risalita oltre l’1% e dove non ci sono tassi negativi, sono accomunati da un punto: hanno accompagnato il piano di stimoli monetari con un altrettanto forte piano di stimoli fiscali (con deficit/Pil annui oltre il 10%). Proprio quello che manca all’Europa. Quando i tassi sono a zero politica monetaria e politica fiscale dovrebbero andare a braccetto. E finché l’Ue si ostina a non comprendere questo punto la bolla dei tassi negativi (con tutte le storture ulteriori che rischia di provocare in futuro) può continuare pure a gonfiarsi. Senza che l’inflazione, dall’altro lato della medaglia, batta un colpo.

Senza questo snodo politico tutte le previsioni economiche ottimistiche sui prossimi mesi rischieranno di continuare ad essere smentite dai fatti. Dando ragione a quanto sosteneva l’economista John Kenneth Galbraith quando diceva che «la sola funzione delle previsioni in campo economico è quella di rendere persino l’astrologia un po’ più rispettabile».
@vitolops

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