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Per le banche soluzione europea, non caso per caso

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L'Editoriale|CREDITO E MERCATI

Per le banche soluzione europea, non caso per caso

Ancora un ostacolo si frappone sulla difficile via del risanamento del Monte dei Paschi di Siena, questa volta sotto forma di dimissioni, apparentemente richieste da investitori internazionali, dell’amministratore delegato che aveva fin qui guidato il tentativo di risollevare l’istituto abbattuto da scellerate scelte del passato.
Un evento sconcertante e apparentemente inspiegabile, ma che non deve mettere in discussione l'attuazione del piano presentato ai mercati alla fine di luglio. Soprattutto, la dimostrazione del fatto che i problemi che affliggono le banche italiane (e di cui Monte Paschi è solo il caso estremo) devono essere affrontati evitando di lasciare i singoli istituti alle prese con le volubili richieste dei mercati, ma con soluzioni di sistema, guidate da regolatori e governo.

Per quanto riguarda il caso specifico, è chiaro che non esiste un piano B: primo, perché non c'è più tempo; secondo, perché il piano attuale – pur molto ambizioso – è credibile; terzo perché nel caso della banca senese non ci sono molte variabili su cui giocare. Quello che si poteva vendere è stato venduto e quindi le leve da azionare sono due: rendere sopportabile il fardello dei crediti in sofferenza e proseguire nella razionalizzazione dei costi operativi. Quest’ultimo è un problema generale: non solo in Toscana, ma in tutta Europa c’è un eccesso di capacità produttiva, perché la rete di sportelli e dipendenti attuale è stata pensata per un mondo senza internet e ha subito finora – soprattutto a livello complessivo – più limature che potature drastiche. Tant’è che il rapporto fra costi operativi totali e profitti lordi nei principali sistemi bancari europei non ha subito sostanziali riduzioni nell’ultimo decennio.

Da questo punto di vista, Monte dei Paschi, costretta dalla drammaticità della sua crisi, sta tracciando una strada che altri dovranno seguire e che comunque non lascia alternative per chi siederà sulla scomoda poltrona di palazzo Salimbeni.
È quindi quanto meno singolare che investitori non meglio identificati abbiano bocciato l’autore del piano, ma non il piano stesso (tanto più che Viola ha sempre conseguito i risultati industriali annunciati) e ancora più singolare che pensino che un altro manager possa essere più adatto a realizzare un piano di cui non ha scritto neppure un rigo. Ma tant’è: le vicende bancarie quando approdano in Toscana diventano quello che Churchill diceva dell’Unione Sovietica: un indovinello, avvolto in un mistero, all’interno di un enigma.

Il caso deve anche indurre a una riflessione più ampia sul problema generale del sistema bancario italiano. Il piano di Monte dei Paschi ha due snodi cruciali: l’aumento di capitale per 5 miliardi e la cessione di 28 miliardi di sofferenze, che avrebbero portato gli indici patrimoniali in zona sicurezza. Ma anche qui Siena è il caso estremo perché si tratta della terza banca del Paese, ma il problema è ormai di carattere nazionale, avendo i crediti deteriorati raggiunto 360 miliardi di cui 210 di sofferenze in senso stretto. L’ultimo Bollettino della Banca d’Italia documentava come quasi tutta la parte non coperta da accantonamenti sia assistita da garanzie, quasi sempre reali. Il valore di cessione di queste garanzie dipende dal tempo di escussione e dal rischio stimato dall’acquirente. Gli operatori chiedono oggi tassi superiori al 10% che, applicati a un periodo non breve, portano a significative decurtazioni o, se si preferisce, consentono loro di conseguire profitti molto alti. Del resto, è una costante della storia delle crisi che bisogna saper aspettare: persino la liquidazione del Banco di Napoli degli anni Novanta si è chiusa in attivo.

È la prova definitiva, se mai ce ne fosse bisogno, che le soluzioni di sistema con il sostegno pubblico sono la via maestra di fronte a problemi di simile portata: e ciò perché i valori vengono scontati a un tasso più in linea con il livello generale, attualmente molto basso. È questa la via maestra per procurarsi la risorsa scarsa per eccellenza in tali situazioni, cioè il tempo, come hanno messo in evidenza Marco Ferrando e Morya Longo su questo giornale (4 agosto).
Lo stesso articolo riferiva di un piano di Prometeia che generalizza l’intervento di Atlante nel Monte dei Paschi e consente di realizzare un piano di sistema di dismissione delle sofferenze nell’arco di pochi anni, finanziato dall’eccesso di capitale delle banche rispetto ai vincoli di vigilanza dell’esercizio Srep (Supervisory review and evaluation process) compiuto dalla Bce e dai profitti bancari del prossimo triennio. Le variazioni sul tema sono infinite, ma il punto cruciale è che «si può fare!», come avrebbe detto Gene Wilder.

L’importante è dare un segnale forte e chiaro ai mercati mostrando che il Paese intende affrontare il problema nel suo complesso, in un arco di tempo ragionevole e con il sostegno dell’intervento pubblico consentito dalla direttiva europea di risoluzione delle crisi. Se questa sgradevole vicenda del Monte dei Paschi servisse almeno a trarre questa lezione generale, potremmo dire che non tutto il male viene per nuocere.

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