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Dopo il «bazooka» Draghi usa lo spillo

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L'Analisi|L’EDITORIALE

Dopo il «bazooka» Draghi usa lo spillo

Quando i mercati cadono di venerdì, temono di solito un brutto lunedì: di venerdì e lunedì «neri», non a caso, se ne sono visti molti. Ma il tonfo delle Borse e dei titoli di Stato giovedì e venerdì, che cosa indica? Che la festa dei tassi è finita? Senza giri di parole, l’opinione diffusa è che il problema non riguardi affatto gli eventi di lunedì, ma quello che succederà venerdì 31 marzo 2017, quando la Bce staccherà la spina al Quantitative easing, il programma di acquisto di titoli di stato e obbligazioni societarie su cui ha già investito più di mille miliardi di euro.

La sensazione dominante, insomma, è che anche se l’economia e l’inflazione non hanno mostrato reazioni concrete o proporzionate alla spesa sostenuta con gli stimoli, le banche centrali e in particolare la Bce, ritengano ora più importante moderare i toni e il linguaggio della loro «guidance» sugli scenari futuri: poichè la leva dell’aspettativa sui tassi non funziona più quando sono allo zero, sono le variazioni semantiche o i silenzi sulle prospettive del Quantitave Easing a condizionare o formare le percezioni degli investitori.

Persino da recentissimi documenti della Bce (Analisi dell’impatto del QE, settembre 2016) emerge chiaramente che se da un lato le manovre straordinarie hanno avuto successo nel far cadere il premio di rischio dai titoli di Stato dell’Eurozona e una sorta di riconvergenza dei rendimenti verso lo zero, dall’altro hanno favorito compiacenza e propensione al rischio, vistosi comportamenti speculativi, ingiustificabili allineamenti dei rendimenti tra bond aziendali sicuri e bond spazzatura (anche loro a quota zero) e correlazioni inedite nei prezzi di asset completamente diversi.

In altre parole, per combattere un rischio sistemico (la crisi liquidità) ne è stato assecondato un altro non meno pericoloso. E Draghi sembra essersene reso conto perfettamente: per sgonfiare la compiacenza e la speculazione, gli è bastato ricordare nel suo discorso pubblico che il QE finirà nel marzo 2017 e che in Bce non si è discusso di altre proroghe, così come non si è discusso di introdurre nuovi programmi straordinari (acquisto di azioni o helicopter money) o di modificare quelli ancora in corso (allungamento delle scadenze sui bond acquistabili dalla Bce).

La Bce la chiama «reinforced guidance», o aspettative rafforzate: nell’Analisi sugli effetti del QE, gli stessi ricercatori della Banca centrale raccomandano un dialogo con i mercati basato solo sugli obiettivi generali da raggiungere. «Se si afferma che il QE sta dando i suoi effetti positivi sull’economia e sui prezzi - è scritto nel documento Bce - i mercati reagiscono come se il sostegno monetario sia vicino al termine e che l’inflazione stia tornando a crescere: la conseguenza è una caduta dei prezzi azionari e obbligazionari e un aumento dei tassi dei titoli di Stato. Dall’altro lato, se si eccede nelle rassicurazioni sull’erogazione di liquidità e si annuncia l’intenzione di estendere il QE oltre le date stabilite, si generano comportamenti speculativi e propensione al rischio: al contempo, cadono le attese di inflazione e di crescita economica, dissallineando le aspettative della Bce da quelle dei mercati». Con la svolta di giovedi, insomma, Draghi non ha deluso i mercati, ma ha dato un «colpo di spillo» alle loro bolle. Senza contare che ha rafforzato la credibilità dell’autorità monetaria .

Certo, saranno i fatti a dire l’ultima parola. Molti analisti, per esempio, ritengono che le previsioni al rialzo della crescita europea nel 2016, la modesta revisione al ribasso di quelle del 2017 e soprattutto la sostanziale riconferma delle aspettative Bce sull’inflazione nel 2017 (1,2%) e nel 2018 (1,6%) sottostimino soprattutto la dinamica dei prezzi: il consenso del mercato è infatti per una crescita dei prezzi tra l’1,5% e il 2% (tasso obiettivo ) nel 2018. Se le stime dei mercati si riveleranno corrette, sarà difficile che il board della Bce - e soprattutto la Germania - possa dare il via libera a ulteriori estensioni della manovra straordinaria.

Ma se la Bce chiude il rubinetto, solo l’Europa avrà sulle spalle la responsabilità di risolvere le asimmetrie che spaccano l’Unione, che allargano i differenziali di crescita, di occupazione e di reddito e che soprattutto amplificano a dismisura gli effetti già negativi dell’Euro sulle economie più deboli, a cominciare da quella italiana.

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