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Un sisma «anticipato» già nel 2012

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IL TERREMOTO del 24 agosto

Un sisma «anticipato» già nel 2012

Nero su bianco: il sisma che il 24 agosto ha colpito Amatrice, Accumoli e i piccoli paesi aggrappati sul versante meridionale dell’Appennino marchigiano era stato previsto. Bastava leggere il numero di giugno 2012 della più prestigiosa rivista sismologica statunitense, il Bulletin of the seismological society of America: «Dopo il terremoto dell’Aquila del 2009, le probabilità di un evento sismico nel reatino e nelle aree adiacenti sono notevolmente incrementate. In quest’area si è assistito a un’elevata miscrosismicità dopo il terremoto dell’Aquila». Parole pesanti come le pietre squadrate che hanno seppellito Amatrice, Accumoli, Pescara e Arquata del Tronto. Parole ancora più pesanti se si considera che lo studio, scritto tra il 2010 e il 2011, ha ricevuto il timbro lugubre della sua validità esattamente alla metà dell’arco temporale (10 anni) fissato dai ricercatori italiani.

Oltre le macro aree, gli scienziati hanno individuato tutte le microzone ad alto rischio: dalla faglia del Montello, nel Trevigiano, al lago di Garda, dal Gargano in Puglia alla Garfagnana, il Mugello e l’alta val Tiberina in Toscana, dal Pollino in Calabria alle aree attorno Parma, Reggio e Bologna in Emilia; senza dimenticare le regioni colpite nella seconda metà del 900 da rovinosi terremoti: Irpinia e Friuli in primo luogo. Nomi e località sulle quali dovranno spostarsi, finita l’emergenza in centro Italia, gli uomini della Protezione civile e le squadre di esperti che in queste settimane lavorano nelle zone devastate dal sisma del 24 agosto.

Lo studio è firmato da un gruppo di brillanti sismologi italiani: il primo nome è di Warner Marzocchi, dirigente di ricerca dell’Ingv, l’ultima firma, che di solito spetta al capo dell’istituto di ricerca o a un decano della stessa materia, è del geofisico Enzo Boschi, all’epoca in cui fu pubblicato il lavoro ex capo da meno di un anno dell’Ingv.

In mezzo, sismologi di chiara fama al vertice di alcuni dipartimenti dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia o con ruoli di primo piano nella sede romana di via Vigna Murata (Amato, Akinci, Chiarabba, Lombardi e Pantosti).

Il titolo dello studio è già un manifesto: “Eventi sismici a dieci anni, un modello per l’Italia”. E nell’abstract, la sintesi che fa da prologo a tutti i lavori scientifici, i ricercatori raccontano di aver «sviluppato un modello di previsione di eventi sismici», con la finalità di mitigare il rischio e favorire l’ammodernamento di strutture ed edifici vulnerabili.

La mappa si concentra su sei aree ad alto rischio del territorio nazionale: le Alpi orientali e le Prealpi, l’Appennino settentrionale, quello centrale, l’area del Gargano, l’Appennino meridionale con la Calabria, e infine la Sicilia, l’unica a rischio leggermente più contenuto perché depurata dall’area dello Stretto di Messina. «Il metodo - dice Enzo Boschi, ex capo dell’Ingv - è stato quello di seguire la traccia dei terremoti degli ultimi secoli, una cartografia che potrebbe tradursi in un primo progetto concreto di intervento per il piano annunciato dal governo Renzi».

I sospettati ci sono, i detective capaci di individuarli uno a uno pure. Questo studio sottrae dalla scena del delitto tutti gli alibi che hanno contrassegnato i grandi terremoti italiani a cavallo del 900, dal Friuli ad Amatrice. Nessuno, la prossima volta, potrà dire: noi non sapevamo.

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