Una conferma e una discontinuità. In vista dell’imminente legge di bilancio, la presentazione del piano governativo per Industria 4.0 conferma che quella in arrivo dovrà essere, e probabilmente sarà, una manovra fortemente orientata alla crescita, contemporaneamente si annuncia un taglio netto con logiche di politica industriale che nel passato hanno procurato pochi benefici concreti e molta confusione strategica.
Partiamo dalla conferma. Nel confronto che già da alcuni mesi sotto traccia caratterizza le valutazioni del governo, contrapponendo i propugnatori della leva dei consumi vecchio stile o di bonus sociali variamente declinati ai sostenitori dei fattori diretti di competitività, sono questi ultimi a segnare un punto a favore vista la convinzione con la quale Renzi ha appoggiato ieri il piano illustrato dal ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda. Il «coraggio» e le «opportunità» cui ha fatto riferimento il premier sono quelli di chi accetta di investire, di uscire da uno schema di gioco che prevede di restare sempre nella propria metà campo e sceglie di confrontarsi con le imprese più innovative, connesse, digitalizzate, moderne delle principali economie concorrenti. A loro si sono rivolti direttamente Renzi e Calenda perché mostrino fiducia nel piano, lo sfruttino, utilizzino i robusti incentivi fiscali per attivare investimenti. Una sorta di patto per la crescita, che si regge anche sulle risposte già fornite in questo senso dalle imprese, come dimostra l’impennata degli ordini di macchinari legata all’introduzione del superammortamento nella legge di stabilità dello scorso anno.
Se un incentivo funziona davvero, le imprese cavalcano l'onda. Ed è questa la discontinuità che proprio il piano vuole mettere in evidenza. L'addio alla stagione dei bandi e delle politiche industriali confezionate a tavolino e poi lasciate per anni nel freezer del ministero lascia spazio agli incentivi automatici, come il superammortamento e il credito d'imposta per la ricerca, in una logica orizzontale che non premia singoli settori. La detassazione in forma più robusta del salario di produttività non è vincolata a comparti industriali ma agisce trasversalmente sul modo stesso di fare industria. Il rafforzamento della finanza d'impresa, sostenendo fiscalmente il venture capital, non elenca le aziende su cui puntare ma definisce una piattaforma favorevole alla crescita di startup (e non solo digitali). Anche l'individuazione dei «competence center», che non saranno limitati ai Politecnici, è una scelta di neutralità.
È alla legge di Bilancio che toccherà blindare questo schema, con stanziamenti scolpiti nella pietra che servano ad avviare con il giusto passo un piano che sarà comunque di medio termine. In vista della nota di aggiornamento del Def, con un dibattito sempre vivo sulla crescita che delude le attese e un negoziato sulla flessibilità Ue che si sta rivelando meno semplice del previsto, occorre mettere un punto fermo sulle politiche per gli investimenti, senza indugi. Troppe volte in passato le proposte di spesa e di politiche attive si fermavano inesorabilmente sull'uscio della vecchia finanziaria, espunte in extremis dalle tabelle del Tesoro con un semplice tratto di penna dei custodi dell'austerità a tutti i costi. L'endorsement di Renzi al piano coordinato da Calenda fa pensare che anche in questo senso, però, è l'ora della discontinuità.
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