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La lenta eutanasia dei laburisti britannici

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Scenari

La lenta eutanasia dei laburisti britannici

Da sabato il Regno Unito appartiene all’imbarazzante famiglia dei Paesi a partito unico. Al fianco di qualche dittatura africana, dunque, nonostante la storia della più celebrata democrazia parlamentare dell’era moderna sia ovviamente del tutto diversa dalle satrapie di Paesi emergenti. A spingerla lungo la china è stata la conferma di Jeremy Corbyn alla guida del Labour Party, a dimostrazione che un anno fa non fu scelto per lo shock della sconfitta patita dall’allora leader Ed Miliband alle politiche del 2015. Non fu, cioè, un incidente della storia a issare alla testa del governo-ombra il più radicale leader laburista a memoria d’uomo, ma la scelta consapevole di militanti decisi a compiere il secondo – dopo Brexit – più sconcertante atto di autolesionismo politico che si ricordi.

La base laburista ha ampiamente concorso al divorzio dall’Europa e ora quella stessa base ha scelto Jeremy Corbyn che dell’Ue è gelido fan, appiattito su dottrine pacifiste d’antan, schierato sul fronte antiglobalizzazione commerciale, favorevole alla presenza massiccia dello Stato nell’economia nazionale. In linea con John McDonnell, il cancelliere dello scacchiere-ombra, che rivendica la sua adesione al marxismo, dicendo “no” a deregulation e privatizzazioni e “si” a un’economia a trazione pubblica.

Non vogliamo infilarci nel dibattito ideologico sul senso del marxismo nell’Europa di oggi, né ci soffermeremo troppo su quella sensazione di antico che le parole di Corbyn e McDonnell evocano, ma è evidente che da sabato il Labour s’è precluso il governo. E la Gran Bretagna è, per converso, mutata in un Regno a partito unico, dominato dai Tory nonostante gli sconquassi della Brexit. Ne sono convinti gli elettori del Labour: il 59% è certo che il partito perderà le prossime elezioni. I sondaggi confermano l’intuito popolare: 11 punti dividono i conservatori dai laburisti.

Eutanasia di un partito per la nascita di un movimento? A Londra sta accadendo qualcosa di molto simile, un percorso a ritroso sulle ceneri della Brexit, sulle vestigia del boom and bust precedente e successivo alla crisi del 2008. Jeremy Corbyn – eletto da una massa eterogenea di “supporter” – si vanta di aver ampliato la base militante, ridando «voce alla gente». Power to the people, lo slogan associato a tante forze politiche ad alto tasso di demagogia, illumina dunque i socialisti britannici, trasformandoli in una forza di ordinato e coordinato populismo. Vociante, fors’anche affascinante, ma incapace di attrarre il ceto medio che, fino a quando le disuguaglianze non lo avranno cancellato del tutto, garantisce la vittoria nelle società avanzate.

Opposizione perenne dunque, conseguenza di una trasformazione politica che nasce molto prima di Brexit, figlia com’è della crisi post-Lehman Brothers. Levatrice del fenomeno è stata una parola: authenticity, magica espressione che ha dischiuso a Jeremy Corbyn l’uscio del potere-ombra della vita politica britannica. Quella voglia, cioè, di genuinità politica e fedeltà ai principi fondativi che nei valori di una percepita, presunta “autenticità” permette all’elettore di indentificarsi del tutto con l’eletto. È questa la radice della vittoria di Jeremy Corbyn.

L’autenticità presunta del Labour porta con sé deja vu degli anni Ottanta quando l’ala Militant del partito dominava Liverpool e i sindacati lo tenevano in pugno più di ora, spaccando elettori ed eletti in fazioni, frustrando l’allora leader Neil Kinnock e garantendo a Margaret Thatcher mandati a ripetizione. Ci volle Tony Blair per ridare appeal ai laburisti con quel New Labour che il corbynismo ha raso al suolo.

Dan Jarvis, deputato laburista di centro, ferma l’authenticity di Jeremy Corbyn in un efficace epitaffio. «La purezza della protesta perpetua – ricorda – spalanca solo la via all’annichilimento elettorale». Che, con tono meno enfatico, lo storico leader dei Liberal Democrats Paddy Ashdown traduce così: il partito laburista non può più vincere le elezioni. Invoca, Ashdown, una forza capace di coagulare al centro i conservatori delusi da Brexit, i laburisti moderati e naturalmente i LibDem. La corsa di queste ore di militanti labour – corsetta, in realtà – verso i liberaldemocratici è il segno di una nuova alba politica ?

Brexit ha creato i presupposti per una svolta rispetto al bipolarismo Tory-Labour, il massimalismo corbinista ha fatto il resto, ma sulla via di una (altra) Terza Via neo-centrista, restano le catene del first past the post, il sistema elettorale che da sempre garantisce stabilità a Londra, ma sancisce lo stallo di oggi. Prodotto da Brexit, blindato da Jeremy Corbyn.

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