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Produttività l’unica bussola che conta

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L'Editoriale|l’editoriale

Produttività l’unica bussola che conta

I numeri e le date: contano di più i primi o le seconde? Sulla carta, se è vero che la Nota di variazione al Documento di economia e finanza (Def) non rappresenta di sicuro un testo sacro, è altrettanto un fatto che questo necessario passaggio apre la stagione di bilancio autunno-inverno. Il Governo riscrive cioè i vecchi numeri di aprile e li aggiorna, adeguandosi alla realtà. Questa vuol dire bassa crescita: il Prodotto non salirà nel 2016 dell’1,2% ma se andrà bene dello 0,9% e lo stesso accadrà nel 2017 (non più 1,4% ma 1% con l’effetto della manovra). Lo si sapeva, e sono già agli atti anche altre autorevoli previsioni più pessimistiche, ma si riparte da qui, da uno sviluppo comunque insoddisfacente che si apre sul cantiere della prossima legge di bilancio.

Altri numeri servono a circoscrivere gli spazi di manovra effettivi che ha a disposizione il Governo nell’impostare la sua politica economica. Anche sul fronte degli impegni presi in primavera con l’Europa occorre prendere atto della nuova e più difficile situazione puntando al contempo ad una strategia espansiva. L’obiettivo del deficit in rapporto al Pil all’1,8% nel 2017 non è realizzabile e si viaggia verso un 2,3%, comprensivo (+0,2%) delle spese da sostenere per l’emergenza terremoto e migranti. Sono circa 8 miliardi che l’Esecutivo vorrebbe conteggiare fuori dal Patto di Stabilità, all’interno di una manovra complessiva che ruota attorno a circa 23 miliardi (che diventano 26,5 se consideriamo il taglio dell’Ires già in bilancio con l’ultima legge di stabilità 2016), di cui 16 in deficit. Manovra che parte con la palla al piede costituita dalle clausole di salvaguardia fiscali (aumenti dell’Iva). Solo per disinnescare questa mina se ne vanno 15 miliardi: dunque restano circa 8 miliardi, da suddividere a sostegno dell’offerta (giù la pressione fiscale sulle aziende, varo del piano Industria 4.0, “superammortamento”, bonus produttivo) e della domanda. Per rilanciare la competitività delle imprese e del sistema in generale, in crisi di produttività stagnante da molti anni, e per venire incontro a diverse categorie (i pensionati in particolare, pubblico impiego). Quanto alla copertura finanziaria tornerebbe in pista anche la spending review in forme più corpose di quelle ipotizzate qualche mese fa.

La Nota di variazione al Def non ci dice però alcunché - non è questo del resto il suo scopo - sulla composizione della manovra. Ci sono solo i numeri che fissano le basi per il confronto con l'Europa. Il Governo dovrà fare le sue scelte con la legge di bilancio, il cantiere delle indiscrezioni è aperto ma è evidente che si viaggia sul filo del rasoio. Le risorse sono oggettivamente limitate, bassa crescita (e inflazione zero-virgola) non aiutano. La flessibilità di bilancio non può ricalcare a Bruxelles gli exploit del passato recente. Il percorso di rientro del debito pubblico (il 2015 rivisto dall'Istat al ribasso a quota 133,2% del Pil segna un punto a favore del Governo) sarà comunque sotto particolare osservazione.

Date e scadenze, in questo senso, appaiono oggi più importanti dei numeri della Nota di variazione. Entro il 15 ottobre il Governo deve inviare a Bruxelles e alle Camere il Documento programmatico di bilancio (Dpb) in cui si spiegano le modalità con le quali rispettare gli obiettivi del Patto di Stabilità e la Commissione ha poi due settimane di tempo per rinviare agli Stati membri i progetti giudicati non conformi. Il 20 ottobre viene presentata alle Camere il disegno di legge di bilancio (che dovrà essere approvato entro la fine del 2016). Entro i primi dieci giorni di novembre l’Europa rende note le nuove stime su deficit e debito che saranno alla base del giudizio di Bruxelles sulle manovre decise dai governi. Il 4 dicembre, quando la legge di bilancio, presumibilmente, avrà sostenuto l’esame di uno dei due rami del Parlamento, si terrà il referendum sulle riforme costituzionali. Appuntamento decisivo per il Governo Renzi che queste riforme ha voluto con forza per dare anche il segnale ai mercati e all’Europa che l’Italia non si ferma sulla strada del cambiamento e che le riforme istituzionali sono fondamentali per la competitività del Paese.

La manovra prenderà corpo avendo d’occhio tutte queste variabili, comprese quelle più strettamente politiche che si giocano sul terreno dei consensi. Ieri se ne è avuta una prova con il ritorno dell’idea del Ponte sullo Stretto, un “classico” sempreverde. La bassa crescita, assieme a risorse limitate, impone però di scegliere evitando la dispersione. Ed è dalla produttività stagnante che bisogna partire: altre bussole non portano lontano.

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