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Un tempo le montagne erano un fattore che univa i popoli

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Un tempo le montagne erano un fattore che univa i popoli

Caro Fabi, si discute della possibilità di togliere alcune indicazioni geografiche in lingua italiana nel territorio dell’Alto Adige, fino a ora caratterizzato da un totale bilinguismo. Al di là delle polemiche politiche mi chiedo come mai storicamente un territorio che dal punto di vista geografico è parte integrante della realtà italiana abbia mantenuto una identità di lingua e di costumi tedeschi. Le montagne in passato, quando non c’erano strade e ferrovie, dovevano essere un baluardo invalicabile, soprattutto d’inverno.

Antonio Giudici

Caro Giudici, la storia dell’evolversi delle civiltà e delle lingue può anche non rispondere ai criteri unicamente geografici. In fondo la stessa realtà italiana dimostra che le Alpi non costituiscono una barriera linguistica: in Val d’Aosta si parla francese, attorno al Monte Rosa si sono sviluppate le comunità walser sia in Italia, sia in Svizzera, al Sud del Brennero c’è storicamente la grande comunità tedesca, in Friuli ci sono 32 comuni dove si parla sloveno.

Questo perché nel passato le montagne per secoli, nonostante le difficoltà dei collegamenti, non sono state un fattore di divisione, ma di unità. I passaggi da una parte all’altra delle vallate alpine erano frequenti, anche se magari limitati al periodo estivo, soprattutto per la ricerca di pascoli adatti allo sviluppo della pastorizia.

Lo dimostra, per esempio, la mummia del Similaun, Oetzi, l’uomo venuto dal ghiaccio scoperto venticinque anni fa proprio in Alto Adige, nell’alta val Senales e ora custodito nel Museo Archeologico di Bolzano. Oetzi , vissuto più di cinquemila anni fa, era verosimilmente un cacciatore dato che aveva con sé un arco e due frecce oltre che un’ascia in rame. Il suo ritrovamento, reso possibile dal ritiro dei ghiacciai, è avvenuto a pochi passi del confine tra la val Senales e l’Otztal in Austria tanto che la mummia venne portata a Innsbruck e solo grazie a un accordo speciale tra la provincia autonoma di Bolzano e il governo austriaco venne trasferito a Bolzano dopo che era stato acclarato che il ritrovamento era avvenuto in territorio italiano. (Un segno peraltro degli ottimi rapporti tra le due comunità di lingua tedesca) Questo per sottolineare come i contatti delle popolazioni attorno alle montagne risalgano all’antichità se non alla preistoria. E questo anche perché la montagna costituiva un riparo dato che nelle pianure erano più facili le scorrerie dei vandali e delle bande armate.

Riguardo alla polemica sulla toponomastica bilingue l’augurio è tutto si possa risolvere adottando da una parte e dall’altra la strategia del buon senso. Il bilinguismo è ormai un dato di fatto, anche per la forte attrazione turistica dell’Alto Adige. E vi sono nomi italiani che, anche se imposti dal fascismo, sono ormai entrati nell’uso corrente e vanno salvaguardati. Ma senza inutili polemiche rispettando tradizioni e sentimenti popolari. In Val d’Aosta nessuno si sogna di ritornare ad aggiungere al nome di Courmayeur quello di Cormaiore come il comune era stato forzatamente chiamato dal 39 al 46.

g.fabi@ilsole24ore.com

Nella comunicazione di massa le semplificazioni hanno grande resa, ma lasciano tanto per strada. L’uso di categorie come “l’Italia del no” o “il partito del no”, andrebbe preso con le molle. Dire no a una riforma del lavoro iniqua per i lavoratori, significa dire sì alle rivendicazioni di questi ultimi. Stesso discorso per le grandi opere, dove il non farle può significare aprirsi ad altre istanze e interessi. È questione di priorità, da soppesare caso per caso e per questo generalizzare è un errore. Perché in Italia difficilmente chi ha detto sì lo ha fatto per amor di patria e gli esempi dell’Italia migliore sono quelli in cui al grande “sì” si è preferito il silenzioso lavoro della normale amministrazione. Sono uomini e donne, spesso con l’alone di naftalina, che hanno saputo far quadrare i conti e far funzionare al meglio meccanismi tarati per prestazioni non illustri. Coloro che hanno preferito stabilizzare i ricercatori, o che piuttosto di investire in mega templi della cultura e dello sport, hanno ristrutturato e valorizzato il patrimonio esistente. L’Italia è un corpo bellissimo in sé, che chiede solo buon nutrimento, attività, riposo e qualche coccola, nessun orpello od ornamento. Qui, il più delle volte, pensare in piccolo significa solo una cosa: pensare.

Lettera firmata

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