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Peres e il sogno incompiuto di Israele

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L'Analisi|ADDIO A SIMON PERES/1

Peres e il sogno incompiuto di Israele

E questo prima che arrivassero le guerre civili arabe e l’Isis a cambiare la priorità delle minacce e le cause dell’instabilità regionale. David Ben Gurion o Shimon Peres? Chi ha costruito uno dei Paesi più avanzati che esistano e contemporaneamente l’unica democrazia che da mezzo secolo occupa la terra di altri?

Ben Gurion fece lo Stato prima ancora che la nazione nascesse: nel 1948, quando ne fu proclamata l’indipendenza, Israele aveva già fisco, imprese, banche, sindacati, scuole e polizia. Fu lui a capire che l’impero britannico era finito e che bisognava ottenere la benevolenza del suo successore: gli Stati Uniti. Ma se nominate una qualsiasi delle realizzazioni esaltanti e negative di quasi 70 anni di storia, troverete il nome di Shimon Peres. Sempre.

Di questo, della sua erudizione monumentale e di un’intelligenza sopra la media, è sempre stato molto consapevole. I compagni di partito, gli avversari e gli elettori trovavano insopportabili le sue qualità. Non era arroganza, piuttosto civetteria. Era molto facile intervistarlo perché Peres aveva un’attrazione insopprimibile per i microfoni. Era comprensibile, perché il ministro e il premier di 12 governi ha armato il primo debole esercito israeliano e ne ha architettata la rivoluzione dalla quale sono nate le forze armate più tecnologiche che esistano; ha dato al Paese l’arma nucleare; è uno dei massimi responsabili dell’inizio e del moltiplicarsi delle colonie; per vent’anni è stato contrario a ogni contatto con i palestinesi. Peres è il politico che ha trasformato una nazione d’immigrati, sopravvissuti, agricoltori e guerrieri in qualcosa di molto più articolato. È il padre di un’economia sempre più hi-tech che anche quest’anno raggiungerà il 4% di crescita, la più alta d’Occidente: geograficamente Israele sarebbe in Medio Oriente e questa dicotomia fra due realtà così stridenti – sentirsi occidentali contro l’evidenza della geopolitica - è una buona sintesi del problema d’Israele. Per quello che sono diventati, gli israeliani di oggi hanno più i tratti di Shimon Peres che di Ben Gurion. Anche riguardo alla pace. Peres è stato il primo uomo di potere israeliano a capire la necessità di un accordo con i palestinesi. Certo, il primo trattato di pace – con l’Egitto - lo firmò Begin della destra nazionalista, anche se il merito fu più di Anwar Sadat, Moshe Dayan e Jimmy Carter che suo. Ma un compromesso fra Stati divisi da frontiere, era enormemente più facile di una pace con i palestinesi: un popolo fisicamente sovrapposto a quello israeliano, che rivendicava la stessa terra.

Già negli anni 80 Peres ci provò. E segretamente all’inizio dei 90 avviò una trattativa a Oslo con l’aiuto di un Paese insospettabile come la Norvegia. Dopo aver mandato avanti il suo giovane braccio destro Yossi Beilin per verificare la consistenza di quell’opportunità, Peres, allora ministro degli Esteri, si mise alla guida della trattativa. Fu uno dei segreti meglio tenuti della storia. Durante i negoziati il nome in codice di Peres era “Blazer”, forse per la sua eleganza inusuale alla tradizione israeliana: non ne sapevano niente il premier Yitzhak Rabin né i militari, gli americani furono informati a cose fatte. Gli accordi di Oslo sono finiti male. Ma restano agli atti e alla futura memoria di questa epica tragedia fra israeliani e palestinesi che un giorno avrà una soluzione. Il politico che crede alla pace fin dai suoi primi passi di carriera pubblica, è un visionario. Quello che vi arriva da convinzioni opposte, è un coraggioso. A metà della sua lunga carriera, Peres comprese che un esercito formidabile, le bombe atomiche, il benessere di un’economia smagliante e le startup erano un’opera incompiuta senza la fine del conflitto: un grande ghetto iper-armato e post-moderno, ma sempre un ghetto.

Quale eredità lascia Peres ai suoi connazionali? Al momento è un’opportunità messa in archivio: agli atti come Oslo. Bibi Netanyahu e la maggioranza relativa degli israeliani che lo votano ininterrottamente da quattro elezioni, sono convinti che Israele possa continuare a vivere per sempre, fino a che non saranno gli altri a cambiare, dentro una fortezza inespugnabile, a godere la modernità e il benessere garantiti da Peres. L’anno prossimo saranno 50 anni dalla Guerra dei Sei giorni e dall’occupazione dei territori; nel 2018 il Paese celebrerà 70 anni di vita. Israele continua a non avere frontiere definite e Gerusalemme non è ancora riconosciuta come sua capitale: solo la nascita di uno Stato palestinese darà tutto questo. Shimon Peres lo sapeva, ma il sogno che ha tentato di concludere resta incompiuto.

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