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La sponda amica dell’Fmi per Draghi

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L'Editoriale|POLITICA MONETARIA

La sponda amica dell’Fmi per Draghi

A meno di qualche limatura decimale, l’Fmi confermerà, nel complesso, un quadro dell’economia mondiale stabile nella batteria di previsioni che il suo capo economista rilascerà la prossima settimana.

Per le economie avanzate, le previsioni non si discostano dall’ultimo esercizio previsionale di luglio in cui si prevedeva un tasso di espansione dell’attività economica poco al di sotto del 2% nell’anno in corso. Per i paesi emergenti, il quadro congiunturale presenta un leggero miglioramento legato alla stabilità del ritmo di crescita del gigante cinese, l’incalzare dell’economia indiana, e, infine, il miglioramento nelle prospettive di Brasile e Russia.

Se il quadro congiunturale non presenta una significativa variazione rispetto ai mesi passati, gli incontri ministeriali amplificheranno su scala mondiale quel dibattito su aspetti problematici delle politiche monetarie e fiscali che è destinato a inasprirsi nell’Eurozona quando, nei prossimi mesi, occorrerà decidere del rinnovo del Qe.

Nel campo della politica monetaria, prosegue la sperimentazione delle banche centrali. Proprio giorni fa la Banca del Giappone ha annunciato di stabilizzare i tassi di lungo termine intorno allo zero e, sulla base di prime reazioni di mercato, le aspettative sembrano muoversi in linea.

Allo stesso tempo, però, cresce il fronte di quegli osservatori parzialmente o apertamente scettici nei confronti di tassi di interesse particolarmente bassi se non addirittura negativi. Pesa la ricaduta in termini di profittabilità degli intermediari finanziari ma anche la percezione di cittadini e risparmiatori ordinari che si vedono privati dei frutti attesi dai propri risparmi.

In Germania, in particolare, quest’ultimo aspetto sta diventando una vera e propria questione politica su cui il partito di Angela Merkel, messo in difficoltà dai recenti risultati elettorali in alcuni Länder, potrebbe puntare in vista delle elezioni politiche previste per il prossimo autunno. Non è un caso che il Presidente della Bce, Mario Draghi, si sia soffermato a lungo su questo aspetto nelle due audizioni al Parlamento europeo e al Bundestag tedesco avvenute proprio questa settimana. Un po’ sulla difensiva, ha ribattuto che il tasso di interesse reale di lungo periodo riflette le prospettive di crescita dell’economia a loro volta influenzate da interventi strutturali e dalle politiche fiscali. In altre parole, il frutto finanziario del risparmio si deve materializzare in primo luogo nell’economia reale prima ancora che allo sportello bancario.

Su questo aspetto Draghi troverà una sponda amica nel Fmi che enfatizzerà la necessità di sostenere politiche di crescita e di occupazione per generare un contesto in cui i tassi di interesse possano salire. Del resto, l’istituzione di Washington ha da tempo analizzato i trade-off tra i bassi tassi di interesse e le ripercussioni sulla stabilità degli intermediari finanziari, sostenendo, nel complesso, la necessità dei primi data la congiuntura dell’economia mondiale. Sulle politiche fiscali, nei prossimi giorni il Fmi proseguirà nel suo tentativo di rendere meno cristalizzato il dibattito sul rapporto debito Pil come indicatore sintetico della sostenibilità fiscale di un paese. Al contrario, noterà l’istituzione di Washington, investimenti in infrastrutture hanno il potenziale di slanciare la crescita con un impatto favorevole proprio in termini di sostenibilità fiscale: il rapporto debito Pil, in realtà, diminuirebbe dato l’attuale contesto dei bassi tassi di interesse. Del resto, proprio l’altro giorno, Christine Lagarde, direttore generale del Fmi, ha esplicitamente indicato tre paesi, Canada, Corea del Sud e Germania, le cui economie hanno capacità fiscale inutilizzata. L’obiettivo è duplice: da un lato, far passare la linea che occorre differenziare di più tra paesi nell’utilizzo della leva fiscale e che quelli con maggiore spazio fiscale dovrebbero fare di più; dall’altro, alzare il livello di attenzione sul ruolo delle politiche fiscali “smart” a supporto di riforme strutturali e investimenti che la imminente presidenza tedesca del G20 rischia di de-enfatizzare dall’agenda.

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