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«L’Europa deve avere un piano per l’Africa»

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L'Analisi|Italia

«L’Europa deve avere un piano per l’Africa»

«Africa addio?». Non mi riferisco qui al celebre documentario del ’66 di Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi sui drammi alla fine del colonialismo, ma all’indifferenza con cui si affronta in Europa la battaglia per lo sviluppo di un continente che, senza creazione di posti di lavoro e prospettive di crescita, non potrà che aumentare i suoi flussi migratori verso il nord. Con le nostre sponde come prima destinazione. L’allarme immigrazione è il più urgente del nostro tempo, non solo per l’impatto sociale ed economico sul territorio europeo, ma ormai, come vediamo ogni giorno, per quello politico. Eppure l’Europa «è ferma» come ci ha ricordato il Premier Matteo Renzi quache giorno fa a New York ai margini delle riunioni dell’Onu. Promettendo che «l’Italia in Africa si muoverà in modo autonomo».

Tanto più che se l’Europa tentenna, del rapporto Africa/sviluppo/migrazione ne parla il resto del mondo. Come dice in una conversazione con Il Sole 24 Ore il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, quest’anno il tema delle grandi migrazioni ha caratterizzato l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite «sia per l’iniziativa di Ban Ki-moon che del presidente americano, Barack Obama». Proprio domani Ban Ki-moon sarà in Italia per una visita di addio nella sua veste di Segretario Generale dell’Onu. Non sarà solo una visita di cortesia. Fra le grandi tematiche aperte – Libia, Siria, ambiente – la questione immigrazione sarà al centro dei colloqui. Come lo sarà l’assenza dell’Europa. «Diciamo la verità – spiega Gentiloni – come italiani ci siamo sentiti soli sul tema dell’immigrazione per molti anni. Abbiamo lavorato per risvegliare sia l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale che dell’Europa, e ora siamo un po’ meno soli. È vero che gran parte dei migranti che vengono verso le nostre coste arrivano proprio dall’Africa, ma è altrettanto vero che questo continente non rappresenta solamente un rischio, una minaccia. L’Africa dopo tanti anni è una grandissima opportunità, e infatti l’Italia oggi guarda all’Africa non solo per tamponare i flussi migratori, ma soprattutto come una grande opportunità di cooperazione e sviluppo».

Gentiloni fa dunque un passo successivo a quello del Presidente del Consiglio. Passa alla fase operativa, dà con l’azione della Farnesina un contenuto agli obiettivi e alle possibilità che l’Italia possa fare da sola se l’Europa continuerà a essere assente. Riafferma che l’ideale sarebbe di avere un sostanzioso stanziamento di fondi europei, ma spiega come il nostro Paese potrebbe muoversi intanto su energia alternativa, agricoltura, settore manifatturiero, ittico per non parlare delle possibilità offerta da enormi progetti di sviluppo infrastrutturale». Ricorda che grandi aziende come Enel o Eni sono veicolo di importanti investimenti in Africa. Alcuni mesi fa si è tenuta a Roma una conferenza fra Italia e i ministri degli Esteri africani e soltanto ieri il Presidente della Repubblica Mattarella ha ricevuto al Quirinale, proprio con Gentiloni, il presidente dell’Etiopia, Mulatu Teshome Wirtu. E parlando di Etiopia emergono esempi concreti su come si può procedere in modo autonomo «l’Etiopia ha 100 milioni di abitanti e un ritmo di crescita compreso tra l’8 e il 10%. Questo vuol dire grandi opportunità. E in Etiopia come Italia, siamo impegnati da anni nella valorizzazione del caffè e del pomodoro: è una valorizzazione importantissima perché in questo contesto nasce – in collaborazione con alcune aziende italiane – una filiera produttiva di grande qualità, che sviluppa queste coltivazioni». Sul piano macro Gentiloni ricorda che l’Italia ha raddoppiato in tre anni i finanziamenti alla cooperazione e circa il 48% ha come destinazione l’Africa. Ma non bastano i fondi dello stato occorre che si mobilitino anche le imprese e il settore privato. «I nostri finanziamenti si declinano in decine di diversi progetti. Investiamo sulla valorizzazione del ruolo delle donne nelle comunità agricole, puntando come spiegavo prima a rendere più redditizie alcune produzioni locali, oppure questi fondi hanno come obiettivo quello di dotare alcuni villaggi di strutture energetiche a dimensione locale. Tuttavia – dice ancora Gentiloni – non possiamo sfuggire alla necessità che a questo lavoro svolto dal governo e dalle risorse pubbliche, debba poi sommarsi un impegno da parte del mondo dell’impresa». Per aggiungere la gamba “privata” al progetto “Italia per l’Africa”, la Farnesina ha ospitato un paio di mesi fa un incontro con Confindustria. E già si scende nel dettaglio, invitando la business community italiana del settore della pesca e dei macchinari per la pesca a organizzare strategie ad esempio per la Somalia, esempio classico di quanto possa essere facile se organizzato lo sviluppo. La pesca locale è povera e approvvigiona solo il consumo interno. Ma intere flotte di pescherecci giapponesi arrivano al largo delle coste a pescare tonnellate di pesce “locale” che congelano e spediscono nel mondo. Perché la Somalia non fa lo stesso? Perché mancano le macchine per congelare il pesce e i pescherecci adeguati. L’Italia potrebbe fornire entrambe. Perché le nostre piccole e medie aziende del settore primeggiano nella produzione di macchine per il congelamento istantaneo. Ecco dunque un esempio che combina il sostegno all’economia locale e allo sviluppo con forte prospettive per l’occupazione, antidoto contro l’emigrazione e con buone opportunità per il settore italiano delle macchine ittiche. Certo non basta l’idea: occorre mobilitare la Banca Mondiale e coinvolgere istituzioni come la Sace per finanziare progetti credibili: «Per la Somalia – conferma Gentiloni – ci sono un interesse e una disponibilità straordinari, e questo nonostante i rischi per la sicurezza che continuano ad esistere nel Paese... o pensiamo alla Nigeria: fra 20 anni, da sola, avrà lo stesso numero di abitanti dell’intera Unione Europea. Dobbiamo renderci conto che da questi fenomeni epocali possono effettivamente nascere dei problemi, ma contemporaneamente ci sono anche dei mercati di dimensioni incredibili». Non cooperazione e aiuti dunque, ma anche occasioni per le nostre imprese. È su questo che si deve mobilitare l’industria e il settore finanziario. Gli altri, la Cina e l’America lo fanno senza risparmio. A New York ai margini degli incontri dell’Onu l’ex sindaco Michael Bloomberg ha organizzato una giornata di seminario dedicata all’Africa con la partecipazione di una gran parte di leader del continente.

E che fare per l’Europa assente? Come ricorda Gentiloni sarebbe meglio un progetto complessivo, più ricco ed efficace rispetto all’azione individuale di un Paese come l’Italia. Gentiloni è d’accordo: «Noi saremmo felicissimi se l’Europa passasse dalle parole ai fatti: quello che noi oggi chiediamo è anche un lavoro con tempi più rapidi su quelle che sono le cause più immediate dell’immigrazione. Mi lasci fare un solo esempio. Se l’Unione Europea decide di destinare – e noi siamo d’accordo – 6 miliardi di euro, ripeto, 6 miliardi di euro, per aiutare la Turchia nella gestione dei flussi migratori, allora credo che debba fare uno sforzo anche nei confronti dei Paesi africani, anche se magari con un investimento economicamente meno rilevante. Immaginare che solo alcuni Paesi, come l’Italia o la Grecia, possano far fronte ai flussi migratori, significa infatti negare alla radice l’idea di Europa».

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