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«Italia locomotore verso l’Africa»

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Scenari

«Italia locomotore verso l’Africa»

La sfida lanciata quache giorno fa dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni su queste pagine per investire in Africa è stata raccolta dalla presidente dell’Unione Africana, Nkosazana Dlamini-Zuma: in un’intervista con Il Sole 24 Ore la leader sostiene che l’Italia potrebbe diventare «il locomotore» a cui l’Europa potrebbe finalmente agganciarsi. E condivide il pensiero del premier Matteo Renzi e di Gentiloni secondo cui l’Europa è ferma. Renzi avrebbe voluto una ratifica del piano africano già al vertice europeo di Bratislava. Eppure di Africa a Bratislava non si è parlato, il processo è stato rimandato, se andrà bene, a marzo del 2017. «È un vero peccato – dice la Zuma – l’Europa sta perdendo un’occasione, perché l’Africa è oggi pronta a collaborare, a ricevere investimenti esteri e a procedere con l’industrializzazione. Ci sono molte possibilità per le aziende europee: non chiediamo aiuti, ma investimenti. Questo potrebbe tradursi in un importante ritorno economico per l’Europa. Possediamo foreste, terre, oceani e mari, con opportunità potenzialmente infinite: non capisco perché l’Europa continui a star ferma».

In effetti il confronto con quel che fanno gli altri è eclatante: la Cina ha già investito 200 miliardi di dollari in Africa e nel dicembre 2015 ha stanziato altri 60 miliardi con 10 progetti settoriali diversi sull’intero continente. Per il futuro, l’Europa per ora è ferma a 3,5 miliardi di euro. Il piano Juncker prevede di stanziare 44 miliardi di euro, ma il piano include aziende private non ancora impegnate. Se a marzo, al vertice Ue-Africa si dovesse procedere, si tratterà di un punto di partenza. Al potenziale di crescita economica perduto si aggiunga sul piano pratico la minaccia di flussi migratori crescenti. È un problema che non può attendere: per il gennaio del 2017 l’Italia avrà superato la soglia del milione di africani residenti nel nostro Paese. Solo quest’anno per dicembre ne saranno arrivati circa 150mila. E l’antidoto per diminuire i flussi migratori lo conosciamo, creare benessere nei Paesi d’origine. Che questa sia la situazione lo conferma la stessa Zuma: «Ci aspettiamo che la popolazione africana superi i due miliardi di persone entro il 2060. Per far fronte a questa sfida demografica dovremo offrire opportunità ai giovani e garantire una redistribuzione della ricchezza. È vero, il nostro Pil cresce bene, ma se la ricchezza generata non viene ridistribuita avremo sempre la piaga della disuguaglianza sociale, molti continueranno a vivere in povertà e guarderanno altrove. Uno degli strumenti chiave per promuovere la parità sociale sarà l’istruzione con competenze che devono essere declinate a vantaggio dell’economia. I giovani dovranno sviluppare preparazioni specifiche soprattutto nei settori della scienza, della tecnologia e dell’ingegneria, ma a questo deve aggiungersi la formazione professionale, affinché siano poi in grado di esercitare una professione e di creare a loro volta posti di lavoro. Detto questo, credo che sia davvero arrivato il momento di passare all’azione».

Resta un dubbio. Potrà davvero l’Italia muoversi in autonomia? Il ministro Gentiloni ha dato la traccia di un piano (si veda Il Sole 24 Ore del 4 ottobre), ma per ora i nostri investimenti in Africa sono per 3,5 miliardi di dollari contro i 14 miliardi della Francia. E per l’80% quegli investimenti sono dell’Eni nel settore energia. Possibile dunque che l’Italia, in attesa di un sussulto europeo riesca a farcela da sola? «Sono fermamente convinta – dice la Zuma – che l’Italia possa muoversi in autonomia. Ci sono molti elementi complementari fra l’economia italiana e quella africana. Consideri anche il fatto che aspettare che tutti e 28 i Paesi della Ue si muovano insieme si traduce in un ostacolo ulteriore. Ciò di cui abbiamo bisogno è una locomotiva che traini gli altri membri dell’Unione, e io credo che l’Italia possa giocare proprio questo ruolo. Pertanto se l’Italia è pronta - e ne stiamo discutendo - può scegliere i Paesi dove potrà cominciare. Investire sull’intero continente non è possibile a causa delle sue enormi dimensioni, ma ovunque si scelga di farlo, credo che la sfida più importante sia poi quella di imparare a lavorare insieme». In effetti i tassi di sviluppo in Africa sono importanti, Paesi come la Costa d’Avorio crescono al ritmi dell’8%, altri quali il Kenya o la Tanzania offrono sicurezze sistemiche, anche sul piano giuridico.

Per la Zuma, come del resto per il nostro governo, la preferenza sarebbe quella di un progetto europeo, aggressivo, efficace e rapido. L’Africa è lo sbocco naturale per l’Europa per vicinanza geografica e per le molte affinità. Ma oltre all’inazione si aggiungono spesso rimostranze nei confronti dell’Africa per le “aperture” alla Cina o all’America o ai Paesi del Golfo, anch’essi molto attivi: «In effetti – dice la Zuma – è così. L’Europa si lamenta in continuazione del fatto che la Cina abbia una forte presenza in Africa, ma le porte sono aperte: possono venire quando vogliono. In questo senso sì, state perdendo grandi opportunità. A New York ad esempio appena qualche settimana fa si è svolto un incontro molto importante fra Africa e Usa promosso da Michael Bloomberg – il proseguimento di un dialogo iniziato nel 2014 – in cui abbiamo discusso proprio quali siano i passi necessari per incrementare gli investimenti statunitensi in Africa. L’America ha compreso che sarà questa la prossima frontiera della crescita globale, non riesco a capire come l’Europa non se ne accorga».

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