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La Chiesa globale di Francesco

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L'Analisi|Scenari

La Chiesa globale di Francesco

Un cardinale che viene da Mauritius, che prenderà la berretta rossa accanto a quello di Chicago: un vescovo che cura le anime di poche decine di migliaia di anime in mezzo all’oceano, che siederà in San Pietro accanto a quello che governa una delle maggiori e più potenti diocesi al mondo. La Chiesa di Francesco si globalizza a tappe forzate, ridisegnando la mappa del Sacro Collegio, che sarà chiamato un domani a eleggere il nuovo pontefice. Sono 13 nuovi cardinali elettori, il prossimo 19 novembre, che porteranno la quota dei potenziali votanti a 121, appena sopra la soglia indicata decenni fa da Paolo VI. Come aveva annunciato (in coerenza con la sua linea) è stata privilegiata la componente extra-europea del collegio cardinalizio: Asia, Africa, America latina e Oceania periferica sono state al centro dell’elenco, ma anche gli Stati Uniti hanno visto ben tre nuove berrette rosse. Per quanto riguarda l’Italia il Papa ha “creato” un nunzio apostolico, Mario Zenari, che rappresenta la Santa Sede in Siria, a dimostrazione della vicinanza del Papa alle sofferenze della popolazione che vive la guerra e le privazioni da anni. Una decisione sorprendente visto che mai un nunzio, quindi un ambasciatore, è stato fatto cardinale ed è rimasto al suo posto, senza quindi avere incarichi di Curia o in diocesi di prestigio. Un’altra anomalia del sistema-Francesco, che continua a creare nuove consuetudini pastorali, interrompendo prassi consolidate di governo. L’Italia, in ogni caso, è un capitolo a parte. Questo è il terzo concistoro di Bergoglio, e sin dall’inizio ha reso esplicito che non intendeva promuovere automaticamente gli arcivescovi delle grandi città italiane: è accaduto per Torino e Venezia (vescovi arrivati in diocesi sotto la gestione Benedetto XVI), e sta accadendo anche per Bologna e Palermo, presuli da lui nominati di recente. Al contrario ha messo la berretta agli arcivescovi di Perugia, Ancona e Agrigento, considerate non cardinalizie. Insomma, le sue scelte sono mirate alle persone, che non sempre conosce, anzi. Ascolta, prende informazioni, e poi decide. L’Italia – tra Curia e diocesi – resta il maggior gruppo di cardinali, ben 25 elettori, ma questo non significa un forte peso elettorale spendibile in Conclave: spesso vale il contrario e gli italiani di rado si muovono insieme. Del resto queste logiche infastidiscono Bergoglio, e lo dice chiaramente quando deve parlare alle gerarchie, condannando il carrierismo e le “cordate”. Naturalmente ci potranno essere delle eccezioni: quando lascerà l’arcivescovo di Milano Angelo Scola – tra un mese compie 75 anni, ma resterà in carica certamente per un certo periodo di tempo – il suo successore con ogni probabilità diverrà cardinale: si tratta di una delle diocesi più grandi e importanti al mondo.

Poi c’è il tema degli Usa. Ben tre sono i nuovi cardinali statunitensi, a conferma che Francesco non vuole penalizzare la grande Chiesa americana – che conta quasi 70 milioni di cattolici – ma al tempo stesso con la sua scelta dei nomi, indica una strada. Una strada da lui indicata nel discorso di Washington del settembre 2015, quando invitò i presuli del Paese a voltare pagina e cambiare sguardo, a non usare un «linguaggio bellicoso» né a limitarsi solo ai «proclami». Insomma, basta con le battaglie sui temi di vita e famiglia e concentrarsi più sulle profonde questioni pastorali. E così ha assegnato le “porpore” a Kevin Joseph Farrell, appena nominato Prefetto del nuovo Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, ex legionario di Cristo e vescovo di Dallas molto vicino alla gente e ai problemi reali. Poi a Blase Cupich, abile guida di Chicago da due anni, anche lui poco incline alla chiesa law and order dei suoi predecessori, così come Joseph William Tobin, arcivescovo di Indianapolis, allontanato dalla Curia romana dopo appena due anni da segretario della Congregazione per i religiosi perché – è stato rilevato da Vatican Insider – considerato troppo «morbido» con le suore americane progressiste.

Ma un’altra nomina importante si approssima. È quella del cosiddetto “Papa Nero”, il superiore generale dei gesuiti, che sarà decisa venerdì prossimo dalla Congregazione generale dell’ordine, lo stesso da cui proviene Bergoglio. Il metodo è unico al mondo, e codificato da Ignazio di Loyola nel 500 e funziona ancora alla grande. Si basa sulle “murmurationes”, incontri a tu per tu tra i 212 delegati gesuiti di tutto il mondo riuniti a Roma da domenica scorsa, tra cui gli italiani Federico Lombardi e Antonio Spadaro. Impossibile dire che sono i candidati, anche se molti scommetto su un gesuita che verrà dal cosiddetto global south (in particolare Asia e Africa) e di Paesi come l’India, il cui peso è cresciuto molto. Ma dentro la grande curia generalizia di Borgo Santo Spirito vige una regola ferrea: «Qualsiasi campagna o strategia elettorale pro o contro qualcuno è severamente vietata, e qualsiasi membro della Congregazione che venga a conoscenza di qualcuno che cerchi la carica di Superiore Generale, per sé o per altri, è tenuto a segnalare tale infrazione a un’apposita commissione», denominata “de ambitu” per indicare che, appunto, le ambizioni personali vengono stroncate. La maggioranza dei partecipanti si incontra per la prima volta in quest’occasione, e anche il superiore uscente, Adolfo Nicolas – spagnolo ma con un trascorso quasi interamente in Estremo Oriente – fu eletto nel 2008 senza che nessuno, fuori dal conclave dei gesuiti, avesse ipotizzato il suo nome. Lui si è dimesso, e questo è possibile (lo avevano fatto i suoi due predecessori), ma la carica è a vita.

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